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Il progetto di finanziamento su Produzioni dal basso ha lo scopo di raccogliere i fondi necessari a coprire le spese di traduzione, pubblicazione e promozione di El gran Burundún-Burundá ha muerto del colombiano Jorge Zalamea Borda.
Da giovanissimo Jorge Zalamea Borda (Bogotá 1905-1969) viaggia per il continente al seguito di una compagnia teatrale e pubblica il suo primo libro: El regreso de Eva. Ensayo de una farsa dramática. Con i governi liberali è nominato ambasciatore colombiano in Italia e in Messico, poi Ministro dell’Educazione in patria. In questi anni stringe salde amicizie con Federico García Lorca e Nikos Katzanzakis.
In seguito all'assassinio del candidato presidente Jorge Eliecer Gaitán, partecipa attivamente ai disordini avvenuti per le strade della capitale nel 1948, incitando via radio la folla alla rivolta. Sotto il governo conservatore fonda la rivista «Crítica», che denuncia sistematicamente i crimini commessi dal regime: la rivista viene prima censurata, poi chiusa. Dall’esilio di Buenos Aires, pubblica nel 1952 El gran Burundún-Burundá ha muerto. Nikos Kazantzakis ne scrive il prologo per l’edizione greca.
Zalamea traduce Sartre, T.S. Eliot, Valéry, Faulkner. Viaggia in Asia e pubblica El sueño de las escalinatas, tra i suoi libri più celebri. Ottiene il premio Casa de las Américas per il saggio La poesía ignorada y olvidada. «In poesia non esistono popoli sottosviluppati» sostiene Zalamea, portando ad esempio versi dei pigmei e degli inuit.
Nel 1968 si aggiudica il Premio Lenin per la Pace, ma non per questo risparmia critiche all’Unione Sovietica dopo l’invasione di Praga. Muore nel 1969.
El gran Burundún-Burundá ha muerto descrive il corteo funebre di un feroce, grottesco dittatore. Zalamea segue passo passo la bara, deride la vacuità della retorica demagogica, scende nei più fetidi anfratti di un potere da incubo.
Sotto la pioggia avanzano muti gli ingranaggi del potere: i militari che hanno compiuto ogni sorta di nefandezze, i burocrati dalle cui file lo stesso Burundún è emerso a forza di calunnie e delazioni, gli intellettuali che non hanno avuto il coraggio di ribellarsi, le chiese unite che, prone di fronte al despota, hanno messo da parte le contese teologiche. È un universo arcaico, feudale, succube di un uomo contraddittorio.
Molti elementi di El gran Burundún-Burundá ha muerto saranno rielaborati da García Márquez ne I funerali della Mamá Grande, in Cent’anni di solitudine e ne L’autunno del patriarca.
Secondo Mario Vargas Llosa, «i punti di contatto con I funerali della Mamá Grande giustificano la comparazione. Entrambe le storie rispondono a un identico progetto: narrare sotto forma di cronaca barocca, iperbolica e dispregiativa i funerali di un caudillo onnipotente [...], anche se in Zalamea è più accentuato l’aspetto caricaturale. [...] In entrambi i casi la cronaca dei funerali è scritta in un linguaggio ampolloso e grottesco, da proclama o da orazione, e in entrambi crepita un velenoso umorismo. Ma anche qui c’è una differenza: il linguaggio di Zalamea è più “poetico” e quello di García Márquez più “narrativo”, il primo perlopiù commenta, il secondo racconta».
In occasione della pubblicazione del libro in Grecia, Nikos Kazantzakis scrisse: «Zalamea è un granello di sale che impedisce la putrefazione del mondo».
El gran Burundún-Burundá ha muerto è un libro ancora necessario perché Zalamea mette alla berlina il potere di ieri, oggi e domani e ne smonta la vuota retorica, mentre osserva commosso l’umanità che resiste.
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