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A vent’anni dal G8 due sezioni ANPI - Lonato del Garda e Alto Mantovano - sentono l’esigenza di raccontare quei giorni e i mutamenti che essi produssero nella mente e nella vita di un gruppo di manifestanti ritrovatisi a condividere lo spazio comune di un pullman. Qualcuno potrebbe chiedersi perché sia proprio l’ANPI a raccogliere questa memoria ed a tracciare due decenni dopo un bilancio, assolutamente parziale ma a modo suo sintomatico, sugli esiti di quel momento storico per le persone che lo hanno vissuto.
VIDEO PRESENTAZIONE - https://www.youtube.com/watch?fbclid=IwAR0umq65LOtKlb5y6rv8fS7DreoZGFsMozMdDAg7rMmCWEKGYWNoR61p38o&v=khEXYhbt_E4&feature=youtu.be
Una risposta verrebbe facile ed è inscritta nella ferita che il G8 ha lasciato sul tessuto democratico e sociale del nostro paese: l’ANPI se ne occupa perché ci furono Bolzaneto, la Diaz, Carlo Giuliani. Nomi questi che non hanno bisogno di ulteriori connotazioni per evocare la messa da parte delle garanzie costituzionali e l’emergere di un fondo autoritario e repressivo, fascista, nell’operare delle istituzioni.
Un movimento composito, costituitosi come rete di una miriade di esperienze sociali e politiche, non doveva trovare lo spazio per veicolare il proprio messaggio. Ai potenti della terra, che svincolandosi dall’ONU si autoproclamavano in diritto di reggere le sorti del mondo, non andava contrapposta la voce di chi dal basso proponeva un altro modello, orizzontale e cooperativo. L’alternativa non poteva esserci: la potenza dei paesi ricchi era un dato di natura indiscutibile come il loro diritto a guidare il pianeta. Chi protestava andava fatto apparire come un puro problema di ordine pubblico, da risolvere col mezzo più consono ed educativo: il manganello. La distanza che sempre separa i vertici degli Stati e delle istituzioni più alte dalla collettività anonima delle persone comuni non era mai emersa con tanta evidenza.
I sorrisi dei politici inquietavano più delle armature della celere, perché sarebbero continuati, avrebbero sorriso comunque, qualunque cosa fosse accaduta sotto di loro. E così fu. Mentre i rappresentanti si scattavano le foto di circostanza, Genova diventava un teatro di guerra, i cittadini manifestanti non erano più coloro in nome e in rappresentanza dei quali i politici agivano ma marmaglia criminale, neppure persone, solo corpi che riversavano a terra pozze di sangue. La repressione fu preordinata e preparata, i danni messi in conto.
Forse a queste considerazioni ne va aggiunta un’altra sottotraccia. Il mondo è cambiato e noi con lui. L’ANPI è sempre più in prima linea su questioni che si sganciano dall’eredità diretta della Resistenza e prende posizione nel dibattito pubblico nazionale e locale. Probabilmente se fossimo una compiuta e realizzata democrazia, pienamente rispettosa del dettato costituzionale, l’ANPI potrebbe permettersi un atteggiamento di neutralità e riversare le sue energie sulla memoria e sulla storia.
Ma il G8 non è stata l’unica ferita inferta alla Costituzione nel nuovo millennio. Ci sono stati anche i centri di detenzione per i migranti e la criminalizzazione delle lotte sindacali ed ambientali. C’è stato la crisi economica e il riemergere di linguaggi e proposte politiche che offrono inquietanti scorciatoie alla complessità, quelle scorciatoie che già una volta l’Italia conobbe sulla pelle dei suoi cittadini.
Il sentire comune sembra avere perso l’idea stessa dell’universalità dei diritti: pare normale, necessario, inevitabile che non si sia tutti uguali, che qualcuno più furbo - bravo lui - si faccia largo e che qualcuno patisca più di me la mancanza di garanzie, perché straniero, donna, minoranza, perché ricattabile.
Agli ultimi non si può concedere nulla se non a rischio di perdere il poco che ancora abbiamo. La società si è slabbrata. E il senso di impotenza prevale. Andando a votare si può solo scegliere tra imbonitori tecnocrati e imbonitori identitari, tutti con buone ragioni per tenere la politica fuori dalla loro porta. Le istanze di cambiamento di paradigma di chi andò a manifestare al G8 non godono oggi di alcuna copertura partitica. Alcuni tra militanti di ieri e tra chi è venuto dopo forse ritiene che la storia dell’ANPI costituisca un punto fermo a queste derive, che fissi nella Resistenza un momento di svolta a cui mantenersi fedeli e con questa fedeltà provare a risalire i sensi unici del presente. La Storia non si ferma. E mentre molti partigiani ci hanno per sempre lasciato, le file dell’ANPI si sono arricchite di donne e uomini desiderosi di fare qualcosa. Quello che possiamo fare è ancora contribuire, far risuonare una voce che non rilegge all’oggi le ricette di ieri, ma che pur sapendo quanto costoso e difficile sia, non ha paura di cambiare.
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