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Probabilmente nel panorama dell’architettura contemporanea non esiste un edificio della stessa portata simbolica del Crescent, questo pesante volume fuori scala che dà le spalle alla città storica di Salerno, privatizzandone l’accesso al mare.
Attraverso la vicenda che ha visto di fatto espropriare un bene pubblico destinato a giardino fino ad arrivare alla costruzione di questo goffo manufatto di edilizia privata progettato da una “archistar” al tramonto (che lo aveva già prodotto con poche variazioni in numerose altre parti del mondo) vi si possono leggere tutte le contraddizioni e conflittualità della città contemporanea, a partire dal ruolo stesso dalla città storica, che diviene innanzitutto strumento di estrazione di rendita, anche a discapito del benessere collettivo; al ruolo dell’architettura contemporanea, che troppo spesso si accontenta di fare da maquillage a questi processi; ai rapporti di potere all’interno di una comunità tra interessi pubblici e privati, al ruolo di un ceto politico che dello sviluppo urbano sa poco o nulla, ma che cerca di fare di ogni scelta rendita politica.
Fino al tema del decoro urbano come forma di desertificazione culturale, utilizzato in maniera sempre più trasversale sia da una destra arretrata e xenofoba sia da una sinistra arroccata alla difesa dello status quo. Infine riguarda il ruolo equivoco che riveste il turismo di massa all’interno delle dinamiche di sviluppo urbano, che a Salerno come altrove si traducono in una sorta di monocoltura turistica che ridistribuisce ricchezza in maniera diseguale verso attività a basso valore aggiunto. Nel caso di Salerno in particolare l’attrazione turistica per eccellenza è data dalle cosiddette luci d’artista, che di artista non sono e che rappresentano in maniera plastica l’ambiguità delle politiche turistiche e la demagogia del ceto politico che cerca di intestarsene i risultati. Così come sono iconici i deliri dell’attuale presidente regionale, il vero dominus dell’operazione Crescent, immortalati dalla fedele tv embedded “Lira Tv”, in cui si si vanta della scala di grandezza della cosiddetta Piazza della Libertà, a sua detta più grande di Piazza San Pietro e di Piazza Plebiscito, come se la qualità di un progetto dipendesse esclusivamente dalla sua grandezza, e non invece dalla capacità di rispondere ai bisogni dei una comunità, che probabilmente di tutto quello spazio vuoto e disadorno avrebbe fatto volentieri a meno. “Piazza della Libertà” in cui a dispetto del nome è vietato tutto, dall’andare in bici al giocare a pallone, per evitare di recare troppo disturbo ai ricchi proprietari degli appartamenti.
Il film racconterà queste contraddizioni in maniera poetica, avvalendosi degli strumenti del documentario sperimentale e del “cinema di comunità”, attraverso il quale una comunità trova nel racconto filmico uno strumento per conoscersi.
Infine sarà anche il racconto di un modo diverso di vivere la città, alla ricerca delle numerose ma spesso sotterranee testimonianze di una città resiliente a queste dinamiche di approvazione aggressiva dello spazio. Una città che sa ancora vivere la strada, la sua varietà interclassista, la sua informalità. Nel testimoniareuna dialettica che non è locale, ma, direttamente o indirettamente, riguarda tutte le città del mondo.
Gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) costituiscono una serie di 17 obiettivi concordati dall'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Ridurre le diseguaglianze: ridurre le disuguaglianze all'interno e tra i paesi;
Città e comunità sostenibili:creare città sostenibili e insediamenti umani che siano inclusivi, sicuri e solidi.
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