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IL SOGNO DI BRUNA
(sintesi della trama)
Nella Milano degli anni ’70, un fumettaro bohemien, ingenuo ragazzo-padre facile da fregare, ma come i fiammiferi, solo una volta e a sua figliolina, una piccolina tutta pepe e intraprendenza, aspettano il ritorno della loro Bruna, che viene impedito da un mix tossico fatto di malintesi dormiveglia, guerre non dichiarate, pseudo amici più velenosi di aspidi e compari dalla spranga facile. Svoltandola in tragedia, attraverso storie sublimi e disumane, storie di eroina e di avvoltoi, guardie, ladri e anime sante. In una Milano dalle architetture ottocentesche, dimora antica di una corte decaduta e rattoppata, tutta abbarbicata attorno al Duomo in palazzotti cadenti con il cesso e l’acqua in comune sul ballatoio, da cui si vede sempre la Madonnina. Narrazioni che costruiscono una critica feroce e sghignazzante a certo sinistrume che per distruggersi non ha nemmeno bisogno di avversari, e di avversari feroci che dietro le quinte non esitano a perpetrare un vero e proprio massacro. Strage che i nostri riusciranno pure ad attraversare, ma uscendone a brandelli. Narrazioni però che non disperano, ma che alla fine esaltano quella dimensione, umana e grandiosa, semplice e commovente, “da ringhiera”, in grado comunque di “indicare” la via attraverso cui la vita e il futuro passeranno. Milano “belle époque”, scomparsa, inghiottita dalle colate di cemento della “milano-tutta-da-bere”, insieme ai suoi cortili col selciato e la fontana in mezzo, dove si viveva gomito-a-gomito e dove poteva capitare, sul ballatoio, di dover fare la coda per andare al cesso. Dove i vicini erano di casa. Dimensione umana che prima di perdersi ha però indicato un futuro, che seppur non troppo roseo, promette vita, che può avere il gusto di un gelato alle fragoline di bosco.
Vincenzo Iannuzzi
Fumettone d'autore di 64 tavole in b&n a pennello, formato A4
Dal grottesco al lirismo dostojewskiano, passando attraverso la commedia italiana, per portare a sintesi un’esperienza che si presentava disgregata, che abbracciava dalla tragedia al sublime.
Una sintesi che ricostruisce un senso dove tutto sembrava averlo perso. Non si tratta di un’opera, che si voglia d’arte maggiore o minore, né un’opera d’analfabeta, è un gesto d’amore.
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