Una campagna di
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In Bosnia ci sono più di 5000 persone nei campi gestiti da OIM e UNHCR con un finanziamento di nove milioni di euro da parte della Commissione europea. In questi campi però non c'è riscaldamento o acqua corrente, il cibo scarseggia e spesso anche le medicine mancano.
Quasi tutti i migranti presenti nei campi sono stati bloccati dalla polizia in Croazia, Slovenia e in Italia. Spesso le polizie di frontiera hanno protocolli secretati, in base ai quali i migranti vengono respinti a catena fino in Bosnia, violando non solo le normative europee su immigrazione e asilo, ma gli stessi diritti umani di queste persone che vengono brutalmente picchiate da una squadra di poliziotti mascherati. I casi di persone attaccate con i cani, con i taser e i manganelli, sono innumerevoli. I migranti vengono caricati su dei camion vicino al confine croato-bosniaco e lì vengono picchiati e derubati di tutto e poi gettati in un fiume al confine con la Bosnia o scaraventati mezzi nudi nel cuore della notte in territorio bosniaco.
Nei mesi scorsi siamo scesi due volte in Bosnia per consegnare aiuti umanitari a queste persone. Questo è stato possibile grazie all'impegno di ARCI e dei tanti volontari triestini che hanno supportato il progetto. Abbiamo consegnato i materiali all'associazione umanitaria No Name Kitchen, avendo grossi dubbi sui metodi di gestione messi in atto nei campi dalle grandi organizzazioni internazionali. Quello bosniaco è uno scenario in continua evoluzione che vedrà grandi cambiamenti con l'arrivo della primavera, quando tutti cercheranno di riprendere il cammino verso l'Europa.
Questa volta vogliamo tornare e sostenere le associazioni che operano sul territorio e i migranti bloccati nei campi, fornendo loro gli strumenti fondamentali per affrontare il viaggio come scarpe adeguate, giacche, maglioni, sacchi a pelo.
Interno campo di Bira (Bihac): la fila per il cibo.
Interno del campo di Bira (Bihac). Migliaia di persone di diverse etnie sono costrette a vivere assieme in un ex-fabbrica con il tetto di amianto, 30 bagni chimici, e nessuna attività all'interno del campo se non la fila per cibo che impegna ore.. Frequenti sono le risse fra i diversi gruppi etnici di notte e di giorno.
Campo di Miral (nei pressi di Velika Kladuša). Nel campo di sono più di 700 persone provenienti dal campo informale di Kladuša, sgomberato a fine novembre 2018.
Molti migranti hanno deciso di evitare i campi dell'OIM e vivono in case abbandonate grazie all'aiuto e al sostegno degli attivisti presenti sul territorio. Fra le tante cose, costruiscono stufe molto artigianali, ma essenziali per cucinare e superare il rigido inverno bosniaco fuori dai campi ufficiali.
Come useremo i fondi
Con l'arrivo della primavera quasi tutti i migranti, bloccati nei campi di Bihac e Kladusa Velica, partiranno per affrontare la rotta balcanica. Noi vogliamo fornire, con i fondi raccolti, il supporto necessario alle associazioni che operano in questo contesto e alle persone che stanno intraprendendo il viaggio attraverso i Balcani. Una vera e propria marcia forzata che dura decine di giorni e spesso chi è bloccato in Bosnia non ha più le risorse per procurarsi questi beni essenziali ed affrontare in modo sicuro il cammino. Grazie al vostro aiuto saremo in grado di fornire tutto quello di cui hanno bisogno per intraprendere un viaggio lungo e pericoloso attraverso i fiumi, le montagne e la polizia dei Balcani.
LanostraprecedenteazioneinBosnia
A dicembre 2018, assieme ad ARCI Trieste abbiamo organizzato una raccolta di aiuti (scarpe, maglioni, giacche pesanti, e altri beni) per le persone bloccate nell'inverno bosniaco. Centinaia di cittadini hanno risposto al nostro appello, e grazie alle loro donazioni hanno riempito la sede di Via del Bosco.
Trieste dicembre 2018, Gli aiuti umanitari raccolti nella sede dell'ARCI.
Siamo arrivati a Bihac il 28 dicembre e abbiamo consegnato una parte dei beni direttamente alle persone che abbiamo incontrato fra Bihac e Velica Kladusa e un'altra parte a No Name Kitchen che al tempo aveva messo in piedi un servizio per consegna dei beni e un sistema di docce per dare la possibilità di lavarsi e indossare vestiti puliti. Da qualche settimana tuttavia questa realtà è stata sgomberata dalle autorità bosniache. Rimane dunque la necessità per le persone presenti nei campi di trovare un luogo pulito, dove poter fare una doccia calda e cambiarsi.
Il furgone dell'Orchestra Maxmaber, che ha partecipato alla raccolta e al viaggio in Bosnia.
L'articolo del Promorski sulla raccolta fondi: https://www.primorski.eu/trzaska/mnozicna-solidarnost-za-premrazene-migrante-v-bih-DB157115
"How I came here"
Il progetto filmico "How I came here", di Davide Rabacchin ed Enrico Masi è una testimonianza e allo stesso tempo una denuncia, di quanto sta accadendo al confine orientale dell’Europa, dove migliaia di persone sono state respinte in modo illegittimo e con violenza, e ora vivono ammassate in enormi campi del tutto inadeguati. Il documentario nasce all'interno del progetto umanitario in sostegno alle persone bloccate in Bosnia, un paese complesso e instabile, dove è in atto una guerra silenziosa e taciuta contro le organizzazioni e i collettivi umanitari che testimoniano quotidianamente le violazioni dei diritti umani lungo la rotta balcanica e cercano di fornire aiuto concreto ai migranti. “How I came here” racconta la vita ai confini dell’Impero, in un luogo dove i diritti sono rarefatti e spesso sospesi in favore delle politiche europee di esternalizzazione delle frontiere.
Estratto del documentario
Chi siamo
Siamo un gruppo di attivisti e volontari che operano lungo la rotta balcanica grazie anche al sostegno di ARCI Trieste, ICS. Jessica Beele, avvocato e attivista, è da sempre impegnta nel campo dell'immigrazione e della tutela dei diritti umani. Ha collaborato con Save the Children operando in area di arrivo e sbarco dei migranti durante la missione "Mare Nostrum", ha svolto la funzione di commissario supplente UNHCR in seno alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano. Attualmente ricopre la funzione di referente legale sulla regione FVG per un progetto dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza a supporto del sistema della tutela dei minori stranieri non accompagnati, oltre ad esecitare la professione di avvocato nel settore del diritto d'asilo e dell'immigrazione. Davide Rabacchinè un cineasta-attivista, regista del documentario "Senza respiro" (sostenuto dal Fondo Audiovisivo del FVG), produttore di “Terra sem males” (World Premiere in Sao Paulo “Entre Todos Festival de Direitos Humanos" 2016, Nuovo Cinema Pesaro Film Festival 2016). Assieme ad Enrico Masi ha curato la regia e la produzione di "How I came here " (Caucaso, 2019), il progetto documentaristico che racconta le violenze e la crudeltà che attraversano la vita ai confini dell'Europa. Francesco Cibati fotografo, comunicatore e attivista che lavora ad un progetto fotografico lungo la rotta balcanica.
Per contatti e informazioni scriveteci a: mathematik@live.it
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