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- La premessa.
"Fare" cinema da regista presuppone una competenza artigianale e/o tecnica complessivamente molto semplice da acquisire e da trasmettere.
Tuttavia, se è vero che questo è un mestiere identico a mille altri e (teoricamente) alla portata di chiunque, è altrettanto incontestabile che esso sia il mestiere più costoso al mondo, inteso come costo di base per un singolo progetto-lungometraggio e per il valore dei ricavi potenziali da esso derivanti non sempre simmetrici all'investimento economico iniziale.
Il sistema "culturale" italiano ha raggiunto costi di produzione, gestione e/o funzionamento che sono oggettivamente esorbitanti, inaccettabili, inconciliabili in modo assoluto con i livelli quotidiani di privazione, di sottomissione economica e sociale, e di risicata e umiliante sopravvivenza, imposti a decine di milioni di cittadini prigionieri dei ceti oppressi e subalterni (alla pretesa di sazietà e benessere incondizionati della piccola e grande borghesia nazionale). Io non dimentico nemmeno un singolo istante, e intendo sempre ricordarlo a chiunque, che un istituto scolastico completamente arredato, una fabbrica classica cioè uno stabilimento produttivo moderno e ben attrezzato e pronto ad accogliere l'assunzione di decine di uomini e donne di buona volontà e capaci di spingere nuovamente questo paese alla deriva su una strada di prosperità e progresso che adesso sembrerebbero smarriti per sempre, e perfino un ospedale di medie dimensioni, sono opere veramente sociali preziose e durature che spesso possono costare molto meno di un lungometraggio cinematografico prodotto nei principali paesi europei, Italia inclusa, per non dire dei budget stellari pretesi ed ottenuti dai grandi nomi della regia mondiale, soprattutto statunitense; ma questa è solo la cronaca fantascientifica di mondi paralleli e inarrivabili.
Il corpo-a-corpo con la realtà non lascia mai le mani completamente intatte, candide, non contaminate dalla ferocia (del linguaggio e delle relazioni umane manipolati) del tempo presente. Non conosco nessuno che affiderebbe il proprio corpo malato - indifeso e fragile - al bisturi di un chirurgo che abbia paura del sangue. Il mestiere del drammaturgo, così come lo intendo io, è lo stesso di un rabdomante che sappia percepire il gorgoglio di una sorgente d'acqua invisibile, ma è anche quello di un medico legale votato a una missione che lo obbliga/autorizza a scrivere referti in cui si certifichino le ragioni di una morte. Nel caso del corpo sociale di una nazione - per sua natura indecifrabile - indagare il senso di una morte significa decifrare il nucleo incandescente dei conflitti, e dei processi ormai irreversibili di decadenza e di crisi sociale ed economica. La parola - dunque - in quanto strumento narrativo perfetto e dinamico si rafforza e amplifica tutto il proprio potenziale estetico nell'incontro con il cinema di nuovissima generazione, quello delle tecnologie digitali a basso costo, e questa fusione fra linguaggi consanguinei permette finalmente una autentica e definitiva drammaturgia della realtà, una narrazione concretamente efficace e rapida che possa essere sviluppata in lungometraggi girati con la libertà della modalità documentaristica.
Niente in comune (tratto dal mio testo teatrale omonimo, Siae agosto 2001, e scritto nell'autunno dell'anno 2000, nei giorni tragici e convulsi della seconda Intifada palestinese, detta di al Aqsa) è la narrazione in presa diretta di un tormento personale, indicibile e lacerante, e della disumana alienazione quotidiana di una giovane donna palestinese - laureata in ingegneria ed immigrata clandestina, - che per sopravvivere si è dovuta piegare ad essere schiava fra gli altri schiavi, i cittadini italiani privilegiati solo in apparenza, stritolati negli ingranaggi di questa repubblica iniqua e cinica e priva di pietà per i vinti, che impegna ogni parte di sè per tutelare il ricatto predatorio dei cannibali, dei forti, degli scaltri, e che sa schiacciare umiliare annichilire - di riflesso - con identica solerzia le persone fragili gli emarginati i derelitti nei bassifondi infetti e putrescenti della società civile italiana.
- Il progetto.
Credete veramente che questo ultimo e più terrificante capitolo dell'interminabile e permanente genocidio del popolo palestinese, trasmesso sadicamente in mondovisione sempre all'ora di pranzo e di cena, possa essere (anche questa volta) minimizzato e derubricato a un banalissimo dovere d'ufficio di uno dei più potenti eserciti della terra? Dal cielo, come niente fosse, sono piovuti tutti insieme tonnellate di tritolo e orrore disperazione morte, e proprio laddove milioni di esseri umani erano già obbligati a sopravvivere peggio di topi in trappola, - infetti e messi in quarantena nell'attesa di essere soppressi con una scusa qualsiasi, - sopra gli ultimi spiccioli di terra scampati alla furia distruttiva dei carnefici; qui, sul suolo santissimo di Gaza e della Cisgiordania, essi continuano a cullare dentro di sè il crudele miraggio di una patria libera e indipendente, un sogno tuttavia ogni attimo sempre più irrealizzabile. Quelli che fra questi riusciranno a salvarsi, se riescono poi a mettere piede in Italia, scoprono sulla propria carne stremata e ferita, e con una immediatezza veramente cruenta e insopportabile, di essere predestinati a rivivere all'infinito nella gabbia insanguinata del medesimo inferno lasciato "a casa", un incubo omicida da cui è impossibile risvegliarsi; anche a Napoli, a Roma, a Genova, o a Milano, essi saranno topi invisibili, disprezzati clandestini rifiutati, a cui nessuno vorrà restituire dignità, amicizia, protezione.
Mi sconvolge, e continua ad umiliarmi, la volontà scientifica di questa (mia) Patria sorda e ostile di procedere senza il minimo ripensamento alla distruzione della dignità soggettiva delle persone fragili, e di milioni di altri esseri umani sottomessi, - senza casa, senza pane, senza speranza. Io posso rispondere alla violenza inarrestabile dell'iniquità economica e sociale solo con la forza e l'efficacia dei miei strumenti creativi; e tutto si radica nel senso di responsabilità del regista portatore dello sguardo personale che si applica a compiere un'analisi serrata dei fatti e un tentativo di riordino dell'architettura "naturale" della realtà; anzi, la funzione primaria del cinema del reale - con un apporto esterno fluido e calibrato dei materiali verbali tipici della finzione drammatica, - deve sempre essere identica e simmetrica a quella offerta dal teatro greco classico, con un linguaggio catartico e politico che obbedisce a un mandato ormai ben codificato: deve rivelare il dolore dell'uomo a se stesso.
- La struttura del film.
La struttura formale del film si genera dall'intreccio di tre differenti linee narrative.
Intanto, gli interni del film "in tempo reale" sono costruiti dagli spostamenti di una macchina a mano nervosa, vibrante, famelica, uno sguardo crudele in presa diretta che mastica e divora senza freni anime parole e corpi dei due protagonisti - Bruno e Madi - costretti a un furibondo corpo-a-corpo nello spazio angusto e asfissiante di un appartamento di due vani, incastonato nell'alveare sovraffollato di qualche estrema e dimenticata periferia metropolitana. Lo sguardo le braccia e il sistema nervoso che muovono la macchina digitale sono i miei, per esaudire la mia personale (ossessiva ed espressiva) necessità di esistere respirare danzare nel farsi stesso del gesto attoriale, e per costruire in prima persona la complessità dell'azione drammaturgica e della sequenza cinematografica. Devo essere certo che nemmeno un battito di ciglia che alimenta la paura, l'euforia, il tormento, la felicità, la rabbia, la malinconia, la crudeltà, e tutta la gamma vastissima delle emozioni possibili, - tatuati sui visi e sui corpi degli attori con l'inchiostro celestiale e intangibile delle più intime e crude esperienze quotidiane, - possano andare perduti.
La ripresa continua senza interruzioni del testo teatrale sul set designato come casa della coppia di protagonisti nel gergo teatrale si chiama "filata", e sarà ripetuta quattro o cinque volte nella forma di una messa in scena fedele ed integrale dell'atto unico, ma sempre da posizioni e punti di vista contrapposti. La fotografia di questo blocco del film sarà certamente a colori, dai toni freddi e acidi e con luce naturale, di netta impostazione documentaristica, puro e irriducibile "cinema del reale".
Gli altri interni del film, - il secondo blocco, - sono girati nella stanza d'albergo del regista del film.
Nella finzione cinematografica, il regista del film è un uomo di mezza età, - ma di età non dichiarata fra i cinquanta e i sessanta anni, - in passato amato e superpremiato in molti festival di cinema fra i più importanti e celebrati, e ancora oggi adoratissimo da una vasta platea di cinefili di tutto il mondo; ma egli adesso è schiavo della propria ipocondria, e sembra ormai sopraffatto da una condizione di vera e propria irrimediabile misantropia che lo obbliga a vivere autosegregato nella suite di un albergo a quattro stelle del centro storico romano. Qui, l'uomo convoca i due attori prescelti per i ruoli di Bruno e Madi per sottoporli alle abituali ed estenuanti prove teatrali, e con entrambi egli riflette ossessivamente sul destino estetico e politico dei due personaggi che essi si apprestano ad incarnare. Ogni seduta di prove diventa subito lo spazio fisico e simbolico per mettere in scena una personale e sfrenata officina catartica in cui operare una revisione feroce e crudelissima di ogni singola parola scritta nel (mio) copione teatrale Niente in comune dal quale sarà attinto il materiale drammaturgico degli interni del film.
Senza mediazione, senza scampo, senza false consolazioni per chiunque (per gli attori-personaggi, e per tutto il pubblico ipotetico che presto vedrà ed amerà il suo film), il "maestro" confronta con un accanimento sempre più feroce la realtà sanguinosa raccontata dai quotidiani inglesi e francesi con la propria visione spietata e nitidissima della segregazione e del genocidio inarrestabili imposti al popolo palestinese; egli lo puntualizza con tono sempre più gelido e senza possibilità di equivoci: "dopo questo ultimo genocidio in mondovisione, niente sarà più come prima".
L'identità del regista - sia egli arabo, balcanico, asiatico, - è un dato (narrativo) volutamente neutrale ed oggettivo proprio per attribuire la massima incisività possibile all'idea che la cosiddetta "questione palestinese" deve essere una ferita aperta e sanguinante che brucia sulla carne inerme e fragile di ogni altro essere umano presente e vivente sul suolo terrestre.
Il dolore fisico del regista è prodotto dagli effetti postumi di un terrificante incidente motociclistico; l'uomo è andato a sbattere con la propria motocicletta amatissima, - una preziosa Norton da collezionista, - contro un furgone parcheggiato di notte in doppia fila su un viale alberato di Roma, e solo per scansare due cani randagi apparsi dal nulla che si rincorrevano fra le auto in sosta e nella penombra lattiginosa e sinistra di una gelida notte invernale. Negli istanti successivi all'impatto, ha dovuto assistere alla morte della sua giovane compagna, e la donna si è spenta fra le sue braccia prima dell'arrivo dei mezzi di soccorso; la donna è morta anche a causa della pretesa tragica e avventata di non aver voluto indossare il casco integrale che aveva a disposizione. Adesso, una lesione a un'anca non operabile seppure non lo costringa a zoppicare, e un'altra a una vertebra cervicale che tuttavia non ha comportato alcuna compromissione del midollo spinale, lo obbligano a ricorrere all'iniezione di massicce dosi di analgesici, anche due tre volte al giorno, forse a base morfinica, che egli è solito praticarsi a turno su una coscia o sull'altra, nel muscolo poco sopra il ginocchio.
Gli esterni del film saranno girati per strada, ovunque sarà necessario o lo richiederà la finzione narrativa, e sempre con macchina a mano luci naturali e suoni e rumori d'ambiente: nel loro poco tempo libero, i due attori saranno spesso ripresi in bianco&nero da telecamere di sorveglianza messe fittamente a presidiare la fragile sicurezza della metropoli romana, e sempre inquadrati a loro insaputa; le scale mobili i marciapiedi e l'ingresso ai vagoni delle stazioni della metro; la lavanderia a gettoni e il call-center ad essa annesso; i banchi del mercato di Piazza Vittorio, e la varietà di colori esplosivi della frutta e degli alimenti esposti; i corridoi di un supermercato dell'estrema periferia; il sopralluogo ai ponteggi di un cantiere edile; i saloni di un museo d'arte contemporanea e il suo parcheggio sotterraneo; una piccola libreria nei pressi di Campo dei Fiori; bar e osterie del centro storico romano, interno/esterno;...
L'impegno professionale richiesto ad ogni attore-attrice sarà - mediamente - di venti giorni di ripresa (interni-esterni,...) a cinque ore di lavoro effettivo ogni giorno; il cachet individuale identico per tutti è fissato in euro 2000 (duemila), ossia a 100 euro di retribuzione netta quotidiana, equivalenti a 20 euro all'ora per il lavoro svolto ogni giorno sul set.
- I costi. Le prospettive.
Questo film è stato da me prescelto come lavoro fondativo di un mio format originale per la produzione di lungometraggi di cinema digitale a prezzo di costo certificato con budget fisso di euro 10000 (diecimila). Il testo integrale del mio format-manifesto è disponibile free download sul sito Lulu.com, digitare Amato Consalvo nel motore di ricerca interno.
Sono profondamente convinto che in questo tempo presente aggredito da una crisi economica e sociale ormai cronica e forse irrimediabile, anche la richiesta ben motivata di contribuire con una "semplice" quota da cinquanta euro alla produzione di un film a precisa tematica sociale e politica, se non di largo consumo popolare, comporti comunque una forma di sacrificio economico significativo per chiunque decida di aderirvi.
Chiedere aiuto a una comunità nazionale composta di migliaia di potenziali donatori tutti perfettamente sconosciuti deve significare - nella sostanza estrema e complessa di questa specifica produzione culturale, - una chiamata trasparente del maggior numero di cittadini disponibili a una libera e decisa assunzione di responsabilità contro la strage quotidiana di migliaia di esseri umani invisibili, degli umiliati e degli oppressi (non solo italiani e/o palestinesi), ossia io intendo un vigoroso esercizio della facoltà/volontà di ognuno di "mettere in crisi" la realtà disumana imposta ovunque dai carnefici alle vittime, agli annichiliti ai senza voce, anche e soprattutto compiendo un atto di fede nella efficacia politica della mediazione di una terza persona sconosciuta (il poeta, il regista, io stesso o chiunque altro) disposta ad esporsi e a lottare in nome e per conto di tutti quelli che credono in una identica causa, e di ognuno dei potenziali donatori di una singola quota da cinquanta euro del budget complessivo previsto in euro diecimila.
- Nota.
Questo film non riguarda il valore e la sacralità della cultura islamica, nè vuole esprimere qualche forma di apologia della crescente esibizione di violenza e crudeltà irrazionali del terrorismo medioorientale e/o internazionale; la pura e semplice barbarie, generata nei gorghi oscuri dell'odio del rancore e del fanatismo, è un vizio disumano estraneo in modo assoluto tanto a me, nella mia funzione politica di poeta e drammaturgo, quanto al vissuto e al destino dei personaggi da me creati.
Sebbene questa modalità di raccolta fondi (con prenotazione quote) non preveda ricompense di alcun tipo, io mi impegno a garantire a ciascun donatore una citazione nei titoli di coda con un fermo-immagine di cinque-sette secondi, con dieci nomi per schermata in caratteri dal corpo ben leggibile, e con la dicitura: Questo film è stato reso possibile grazie al decisivo apporto economico e sentimentale di...; a richiesta, invierò il copione teatrale originale anche con dedica se necessario, allegato a una mail in formato pdf, e un portfolio di foto di scena selezionate; inoltre, prevedo che il dvd del film potrà essere a disposizione di ogni singolo donatore con un sistema di sicurezza da stabilirsi in seguito, e con un codice di accesso/download personale dedicato ad ognuno.
Grazie per tutto il tempo che ognuno avrà voluto dedicare alla lettura e allo studio del mio progetto di produzione di questo film.
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Amato Consalvo, poeta drammaturgo filmaker indipendente (Salerno, 1967).
Visitate il mio sito amatoconsalvo.altervista.org con il repertorio di tutta la mia letteratura drammatica, e amato consalvo-drammaturgo su Google+.
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