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Il Palio del Grano è nato 15 anni fa a Caselle in Pittari, nel Cilento. Un’enciclopedia del vivere e del fare la festa, nella quale i saperi tradizionali si manifestano con la loro essenzialità e si riaffermano con orgoglio, diventando motivo di incontro e di allegria ma anche e soprattutto vanto per chi fino a ieri ne aveva dimenticato la memoria.
Tradizioni e radici ma anche innovazione e laboratorio sociale in quella che non è una rievocazione ma una gara vera ed autentica nella mietitura a mano del grano tra otto rioni di Caselle in Pittari #Cip e otto paesi “compari” gemellati con essi.
L’idea del Palio del Grano nasce dalla volontà di trovare uno strumento che fosse in grado di tenere insieme la comunità, creando un meccanismo di partecipazione popolare fondato sulla connessione diretta con la nostra terra. Fino a quel momento, il territorio e le attività rurali che da sempre lo caratterizzano erano vissuti dalla comunità come una limitazione, una condizione considerata con un’umiltà estrema che quasi si trasformava in vergogna delle proprie origini contadine, e che inevitabilmente non avrebbe mai aperto nessuna prospettiva. Tra i propositi principali alla base del Palio c’era invece quello di ridare la giusta dignità allo stretto legame che la nostra comunità ha con la terra, andando a riscoprire il valore dell’antica cultura contadina e inquadrando questa connessione sotto una nuova ottica: non più qualcosa di cui vergognarci ma qualcosa da cui partire per costruire opportunità. Uno dei fattori culturali e colturali più caratteristici del nostro territorio è il grano.
All’epoca dell’ideazione del Palio, la forte radice culturale che questo alimento aveva costruito nel tempo era ancora viva sotto la cenere del “progresso”: era viva soprattutto nei ricordi affettuosi d’infanzia, delle giornate trascorse con i nonni quando si mieteva il grano, del clima di festa e convivialità che si creava, della voglia che da bambini si aveva di partecipare attivamente al lavoro per sentirsi grandi. Scegliere il grano come perno di una manifestazione che coinvolgesse la comunità e valorizzasse il territorio voleva dire anche far riaffiorare questi ricordi sbiaditi dal tempo, farli rivivere nel presente e crearne di nuovi nelle giovani generazioni.
Rione Scaranu, Rione Urmu, Rione Pantanedda, Rione Taverna, Rione Chiazza, Rione Forgia-Mardedda, Rione Maronna Ra Grazia, Rione Castieddu
Atena Lucana, Sanza, Rofrano, Sala Consilina, Castel Ruggero, Massicelle, San Giovanni a Piro, Morigerati, Ruviano, Sassinoro, Tularù, Calvanico, Comunità del Grano Aspromonte, Masseria dei Monelli, Terranova del Pollino, Buonabitacolo, Montecassiano (MC), Novi Velia, Casaletto Spartano, Teora. Questa è una sintesi dell’edizione dello scorso anno:
Una settimana per costruire insieme una festa popolare, per vivere e per ricreare una comunità e per restituire senso e significato al nostro Tempo.
Il gioco della vita, il gioco delle stagioni, il gioco della memoria, di quando da bambini nei nostri paesi, ma anche nei quartieri assolati delle città, finita la scuola, o sulle spiagge roventi, ci si perdeva nel vortice del tempo e dello spazio, quello appunto del gioco.
La Biblioteca del Grano è un campo sperimentale nel quale coltiviamo in piccole parcelle, diverse varietà di grano. Al suo interno, vengono riprodotte annualmente, molte varietà e popolazioni locali, varietà di altri territori, grani moderni e miscugli. Abbiamo interpretato la terra come le teche di una biblioteca entro cui organizzare e catalogare i saperi che in questo caso sono i semi.
Per questo a noi piace dire che il miglior modo di conservare un seme è seminarlo. Un po’ come i saperi e la cultura, da diffondere. A noi sembra la stessa cosa. È comunque un lavoro della vicinanza, della conoscenza diretta, della pratica indigena e forastiera, dell’incontro, della relazione, della conoscenza.
Così dalla terra ai semi, l’atto di volontà del seminatore si affida al cielo, alla sua terra, ai suoi semi e alle sue pratiche. Altri e vecchi saperi, altre e vecchie speranze. Il movimento che va dalla semina alla raccolta è la scena più intima e millenaria delle nostre civiltà. Il tempo è il movimento, il tempo è il pane. Così proviamo a capire che la diversità è un valore oltre ogni differenza, e che tutto é movimento, anche la genetica dell’antico grano, anche la ruralità, anche i nostri paesi imbalsamati col cemento e con le piramidi alimentari.
La biblioteca del grano è un salvadanaio, un investimento sulla memoria e sul futuro, il movimento delle radici e della chioma, il vento, il sole, la pioggia, la voce. Così il grano ritorna linguaggio con cui codificare il cibo, ritorna con la sua componente politica, sacrale, popolare. Viene dal passato e va verso il futuro.
È un ricongiungimento spazio temporale e quando mangeremo tutti i giorni il nostro grano, gli asili li faremo nei campi e il pane ci indicherà la via del sole. La nostra biblioteca del grano è anche una poetica, una pratica, una cultura del lavoro ben fatto, forse anche una nostalgica voglia di ethos. Il varco nella storia lo aprono gli uomini talvolta, e senza movimento non c’è storia.
Per questo la fede è la scienza si fondono e qualcuno scoverà nei chicchi della nostra granella, quella molecola che ci aprirà gli occhi, forse l’ovvio, forse no. Anche la scienza ha le sue speranze. Il sole intanto indora, e noi che lo abbiamo seminato lo citiamo per aspettare la condanna, per capire cosa porteremo casa. Intanto arriverà San Pietro, virdi o siccatu mieti, e l’atto di speranza si compirà. Mangeremo pane, mangeremo terra, la nostra terra, mangeremo il sole, la memoria, mangeremo di buon appettito. Ci aiuterà a stare meglio. Ci aiuterà a far germinare un nuovo germoglio, un nuovo seme.
Rinnovare la festa e rinnovare la nostra comunità evolutiva è vitale per tutti noi. Perché siamo consapevoli che il percorso intrapreso è molto ambizioso e siamo convinti che passo dopo passo, centimetro dopo centimetro e chicco dopo chicco ce la faremo. Da oggi in poi anche grazie al tuo aiuto.
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