Una campagna di
Gioele RossiContattiInserisci il tuo indirizzo email: ti invieremo una nuova password, che potrai cambiare dopo il primo accesso.
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è uno spettacolo teatrale che nasce dagli eventi legati alla disfatta di Caporetto, e diventa pretesto per raccontare la guerra.
Tutto ha inizio con la lettura del libro “Caporetto” di Alessandro Barbero.
Leggendo il testo mi accorgo immediatamente quanto siano folli e potenti le vicende che portarono alla sconfitta italiana nell’ottobre-novembre 1917. Terminato il libro e messa a fuoco la realtà dei fatti, nonché le condizioni di vita dei soldati durante la Grande Guerra, decido di voler ascoltare la loro “voce”.
Come i soldati, gli “ultimi”, descrivevano la guerra?
Che paure e speranze avevano? Quali le loro necessità?
Leggo decine di lettere, indirizzate alle rispettive famiglie, nelle quali ciascuno racconta se stesso e il proprio presente, la vita di trincea, gli assalti alla baionetta, le privazioni, i compagni scomparsi, gli ordini folli degli alti comandi.
Capisco che continuare a leggere, cercare di immaginare quel mondo non è più sufficiente.
Decido quindi di partire per Caporetto, in sloveno Kobarid: per due settimane cammino sulle montagne e lungo le trincee dove, per 29 mesi, Regno d’Italia e Impero austro-ungarico si fronteggiarono.
Tornato a casa e rimessomi al lavoro, sento che per raccontare quella guerra è necessario far emergere il silenzio e la desolazione che, ancora oggi, caratterizzano quelle terre.
Assieme ad Alberto Camanni (con il quale firmo la regia) ci siamo domandati cosa accada intimamente in chi si trova a vivere fenomeni di tale portata e se in un contesto del genere, dove le persone coinvolte subiscono un inevitabile processo di alienazione, ci sia la possibilità di reagire e conservare parte della propria umanità. Le risposte arrivano dal linguaggio scenico esplorato: il clown. Per sua natura, il clown è in grado di trovare sempre un’altra via per affrontare difficoltà, errori, ostacoli. Diventa, dunque, simbolo di quella volontà residua nascosta fra le macerie, capace ancora di sognare, desiderare e stupirsi.
Come un essere clownesco vive e subisce la guerra?
Quando parliamo di linguaggio clownesco, lo intendiamo più nella sua accezione poetica che in quella apertamente comica. Nessuna parrucca e naso rosso, la cipria e il trucco sono sostituiti da una maschera di fango che ricopre il viso dell'attore, elemento nel quale i soldati erano costretti a vivere nelle trincee.
La nostra sfida è stata quella di esplorare al meglio lo sguardo, il corpo, il respiro e la sensibilità di questo personaggio mettendoli in relazione ad atmosfere e immagini indissolubilmente legate ai teatri di guerra.
Attualmente non abbiamo una nostra sede, un luogo in cui poter svolgere ricerca artistica finalizzata alla creazione di uno spettacolo. Di conseguenza, è stato necessario trovare una struttura, gestita da terzi, dove fosse possibile organizzare periodi di prove, indispensabili allo sviluppo del progetto.
La somma, piccola o grande, che deciderai di donare servirà per sostenerci in alcune delle spese che abbiamo dovuto affrontare per la realizzazione di questo spettacolo. Il nostro obiettivo è quello di raccogliere almeno 3500,00 € necessari per coprire le seguenti spese:
Nulla andrà sprecato!
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Per qualsiasi dubbio o curiosità scrivi a gioele.rossi95@gmail.com. Ti risponderemo il prima possibile.
Grazie infinite.
Video teaser Kobarid:
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