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Ti disturbo?

Una campagna di
Sanja Lucic

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Una campagna di
Sanja Lucic

libri & editoria

Ti disturbo?

Campagna terminata
  • Raccolti € 2.800,00
  • Sostenitori 19
  • Scadenza Terminato
  • Modalità Prenotazione quote  
  • Categoria Libri & editoria

Una campagna di 
Sanja Lucic

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Il Progetto

IL LIBRO
Il racconto e spesso lo stupore di una giovane donna straniera (ma anche italiana… e poi di nuovo straniera…) verso le persone, la vita, le situazioni e la sottile ideologia presente nella comunicazione quotidiana di una nostra grande città, Milano.
Tuttobene?
Dimmitutto!
Brava!
Ciaobella!
Buonlavoro!
Tidisturbo?
Che programmihai?
Sonodicorsacisentismoconcalma!
Tidisturbo?
Tranquilla!
Seistraniera?
Tidisturbo?
Maparlibeneperò!
Tidisturbo?
Leggere, pensare, osservare, scrivere, criticare, costruire. Diffondere allo scopo di cambiare qualcosa, di non sentirci isolati.
Per tutti quelli che almeno una volta si sono sentiti stranieri in questa città.
Anche se sono nati a Milano.

“Ti disturbo?” esce il 24 marzo 2013 nella collana “Il nostro maggio”.


L’AUTRICE
Sanja Lucic è nata a Belgrado. Vive e lavora a Milano da 13 anni, città che ama moltissimo (in realtà questa è una scoperta recente). Tanto da scriverci un libro. Questo. Giornalista da più di 16 anni, ha lavorato in radio (Golf Radio, City Radio, Naxi Radio e Radio Politika) anche in condizioni estreme: il 30 aprile 1999, durante i bombardamenti della Nato sulla sua città, viene mancata per pochi metri dalle bombe intelligenti sganciate sul suo quartiere.
Gli anni duri della guerra e dell'embargo economico l’hanno resa una persona che non si scoraggia mai e che adora la vita.
Si è laureata in Giurisprudenza sapendo da sempre che la laurea rimarrà nel cassetto e che il suo destino è davanti al microfono. Tutto è cominciato quando da piccola leggeva i giornali a voce alta davanti a una spazzola… una passione che non ha mai perso.
Il 30 aprile (ancora quella data!) del 2000 si trasferisce a Milano, continua con la professione giornalistica lavorando in radio (Radio Popolare Milano) e scrivendo per molti giornali in Serbia e in Italia.
Ama scambiare le chiacchiere con tutti perché “le persone sono una fonte d’ispirazione sorprendente”. Ma la sua passione più bruciante - oltre a quella per salato, piccante e vino - restano la scrittura e la radio. Leone ascendente Leone. Sa cucinare. Legge tanto, viaggia tanto, regala tanto. Un gran bene per il suo cane, un golden retriever.
Quando non sogna (è raro, visto che il suo stesso nome in serbo vuol dire “Colei che sogna”) vive con gli occhi aperti sul mondo. A Milano. Dove pensa di rimanere.

LE EDIZIONI DEL GATTACCIO
Casa editrice e macchina culturale, Milano e web.
Libri e e-book di narrativa, saggistica sociale, didattica per chi scrive, viaggi e nomadità, sport. Video e documentari. Teatro. Laboratori di Scrittura creativa e drammaturgica, nonché Sceneggiatura. Concetti creativi, generazione di atmosfere, attraversamento di linguaggi, banchetti per l'immaginazione. Hanno visto cose che oggi è difficile anche solo immaginare: l’assassinio di John Kennedy, il primo sbarco sulla Luna, Italia-Germania 4-3 di Messico ’70. E - naturalmente - i raggi B balenare alle porte di Tannhäuser.

LEGGI UN FRAMMENTO. O DUE. PERFINO TRE.
-- DIMMI!
Non mi sono ancora abituata. Dopo quasi dodici anni di vita qua non mi sono ancora abituata alla parola “Dimmi”. Poi in realtà dipende dal contesto, perché magari se interrompi una persona involontariamente mentre parla, ti viene spontaneo dirle: “Sì, scusa dimmi”… oppure quando entri in un bar oltre a “Il solito?” (che amo perché mi da la sensazione di intimità, di appartenza, di accoglienza, di casa), spesso ti dicono “Dimmi…”. E va bene.
Ma proprio non sopporto quando me lo dicono come risposta al telefono. Ogni volta quando sto per chiamare una persona perché voglio sentire la sua voce o quello che le è successo durante la giornata, spero tanto di non sentire il tanto odiato “Dimmi”.
“Ciao Ale!”
“Ciao Sanja, dimmi…”
Ecco, quel “Dimmi” mi è sempre suonato sbrigativo. Spregevole. Come se dessi fastidio. Come se stessi rubando il tempo alla persona che chiamo. E in quel momento mi blocco e non so che dire. Inizio quasi a balbettare e poi dico qualcosa tipo: ”No, niente… così, era solo per sentire come stai…”. Chiedo quasi scusa di aver chiamato, di aver rubato i preziosi minuti di una giornata incasinata, piena di cose da fare e senza tempo da perdere, così tipicamente milanese.
Qua non c’è posto per le chiacchiere spensierate, per ciciarare, per raccontarsi le emozioni, le sensazioni, i dolori. Per condividere. Il “Dimmi” è una espressione che sottolinea che se hai chiamato, allora hai da dire qualcosa o a chiedere qualcosa di utile, di importante.
Insomma, che ti serve qualcosa.
Perché qua non c’è mica tempo da perdere.
E io non mi abituerò mai.

-- JENNIFER
“La vuoi smettere di aprirmi lo specchietto, lo romperai un giorno!” – dico a Jennifer una mattina alle 5.00, mentre mi avvicino alla macchina per andare in radio.
“Perché, questa sarebbe la tua macchina?” – mi chiede con la sua voce roca.
“Ma che domanda è? Certo che è la mia macchina! E smetti di girarmi lo specchietto per metterti il rossetto…”
“Antipatica.”
“Tu.”
Ho conosciuto Jennifer una sera quando sono uscita tardi con il cane. Lo ha accarezzato e io ho sentito un profumo pesante come le notti che trascorre sotto la mia finestra.
Sei ore. Ogni notte.
“E dovreste smettere di gridare” – le dico – “Non riesco a dormire.”
“Ah sì? La principessa giornalista non dorme! Figurati! Tanto sei sempre in giro.”
“Ma cosa avete da gridare, guarda che è disturbo dell’ordine pubblico!”
“Sarebbe?”
“Lascia perdere. Basta che non gridate. E non rompere gli specchietti.”
Non so quanti anni ha, né da dove arriva esattamente. Si fa chiamare Jennifer. E ha sottolineato che è come Jennifer Lopez. A volte è nervosa e risponde male. A volte non saluta. A volte sta in silenzio e gira la testa dall’altra parte.
A volte sorride e ha voglia di chiacchierare. Ma mai della sua vita. Spesso invece mi chiede dove ho comprato qualcosa che indosso.
A volte la polizia la porta via, ma succede raramente. Neanche quando i vicini si lamentano.
A volte la gente la insulta dalla macchina e lei lancia loro la borsetta dietro.
La osservo dalla finestra ogni tanto quando non riesco a dormire.
E penso alle fotografie di Diane Arbus. I volti dietro i quali c’è un mondo difficile da capire. Il mondo degli emarginati. Dei diseredati. E mi torna in mente una frase di Diane: “Puoi distogliere lo sguardo. Ma quando tornerai loro saranno ancora qui a guardarti”.
Infatti, Jennifer è li ogni sera. A guardarci.

-- I SEMAFORI DI NOTTE
La prima volta quando li ho visti ho pensato a un guasto.
Lampeggiavano tutti insieme.
La città sembrava un allegro luna-park notturno con le luci gialle che si accendevano e spegnevano ritmicamente, come se ci fosse un sottofondo musicale. Poi, con il tempo ho capito che qua funziona cosi. I semafori dopo una certa ora diventano giallo-lampeggianti. Per risparmiare? Per dirci “Alt! Pericolo!”?
Non lo so.
Vado in radio molto presto e noto che di notte nessuno rispetta le regole che durante il giorno sono un “must”. Noto anche che durante la notte ci sono molti più incidenti, forse perché la gente torna dai locali e dalle feste un po’ alticcia; forse perché appunto i semafori gialli non sono proprio un idea geniale.
Ma intanto di notte, quando piove, la luce gialla pulsante che si riflette nell’acqua quasi mi incanta, come se la città mi strizzasse l’occhio, come se ci fosse un po’ di sole immerso nel buio cittadino. E quando torno a Milano, dopo un soggiorno all’estero, trascinando la valigia per le strade vuote loro - i semafori gialli - è come se mi dessero ” il bentornata” a casa.
La casa con le regole che non capisco ma pur sempre casa.

Commenti (1)

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    Fabio Sanja è una garanzia di sensibilità :)