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Dodici allievi dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico lavorano insieme per i tre anni della loro formazione, danno alla luce saggi-spettacoli sempre con la stessa regista: Francesca Caprioli. Tra questi “Cleansed – Purificati” di Sarah Kane e “Lo zoo di vetro” di Tennessee Williams, creano le fondamenta del gruppo stesso, stabiliscono rapporti, sinergie; specchio di una modalità di lavoro che parte dalla tradizione e vuole assolutamente metterla in discussione, un teatro che vuole gridare allo scandalo delle emozioni più profonde, tirarle fuori e portarle al pubblico perché possa sentirle e non osservarle a distanza. Così nell’estate 2014, da queste dodici persone, nasce ufficialmente la Compagnia Francesca Caprioli, compagnia under35, che vede come suoi pilastri le sole donne del gruppo: Francesca Caprioli (regista e drammaturga), Elena Carrera ( organizzatrice teatrale), Eleonora Pace (attrice), Paola Senatore (attrice).
La compagnia ha fino ad oggi ha cercato in tutti i modi di produrre i suoi lavori ed essere indipendente e attiva, tra questi:
primo tra tutti “Das Schloss. Per mettere una bandierina sul muro.” drammaturgia originale di Francesca Caprioli dal Castello di Kafka, che debutta all’E45 – Napoli Fringe Festival 2015 e vola a Mosca per il festival Your Chance al Teatro Na Strastnom.
“Undertime” drammaturgia originale di Francesca Caprioli, indagine che parte dal mito della creazione per parlare del futuro e della possibile fine del petrolio. Debutta al Festival Dionisiache 2015, Calatafimi Segesta.
“Keep the cross higth.” Drammaturgia di Francesca Caprioli, studio sulla figura di Giovanna D’Arco, lavoro bilingue con cast italo-inglese che ha debuttato al Manipulate Festival di Edimburgo nel gennaio del 2016
“Er caffè. Da Teresa – Lotto primo. Storie di borgata.” Drammaturgia originale di Francesca Caprioli e Mariagrazia Pompei. Lavoro di drammaturgia basato su storie vere del quartiere Quarticciolo di Roma e lì rappresentato per la prima volta nel settembre 2016, presso il Teatro Biblioteca Quarticciolo.
Il nostro lavoro come compagnia consiste nell’insistere sull’aspetto espressionista del teatro. Il corpo dell’attore è al centro del lavoro perché deve essere differenziato da quello che è il fisico dell’individuo: l’interprete sperimenta il limite della propria fisicità e amplia così i confini della consapevolezza di sé. In questi territori inesplorati tutto il gruppo di lavoro è libero di vivere la propria fantasia e scoprire la propria emotività.
Stimolando la fantasia collettiva nella totale chiarezza di un progetto si crea finalmente un’altra realtà, la realtà dello spettacolo appunto, condivisa da tutti perché creatura di tutti e compresa dal pubblico perché profondamente naturale nella sua coerenza.
Dall’antinaturalismo alla natura, dal corpo alla parola, dalla realtà al messaggio che la realtà desidera esprimere.
E allora accade: la provocazione e la lotta, la vita stessa, dal piano razionale scivolano dolcemente in quello emotivo, e lì, si radicano nella memoria del pubblico.
Liberamente ispirato al romanzo “Anna Karenina”
di Lev Tolstoj.
Compagnia Francesca Caprioli
Regia e drammaturgia
Francesca Caprioli
Musiche
Stefano Caprioli
C’è un treno che arriva, un treno che ti passa davanti, un treno che ti schiaccia sotto.
E’ un treno che abbiamo preso tutti, che abbiamo perso tutti, che qualche volta abbiamo trovato vuoto e su cui tante volte ci siamo stipati come bestie.
La locomotiva scoppia di vapore come un grosso cuore che pompa il sangue del treno, le ruote cigolano come le mani degli innamorati che ancora non sanno dove toccarsi e il metallo del corpo brilla indifferente come l’orgoglio delle parole d’amore.
C’è un treno che arriva e sul treno c’è una storia, una donna, Anna. Anna Karenina. Anna di Karenin. Ed è in questo nome, tutta la tragedia.
Riproporre un classico come Tolstoj adesso, significa avere il coraggio di parlare d’amore: della potenza di questo sentimento che produce una devastazione atomica dentro i nostri poveri corpi. Ma non è solo questo il motivo per cui c’è bisogno di rappresentare queste grandi storie. Le grandi storie devono avere spazio perché ci fanno essere umani, partecipi della vita perché capaci di viverla e di immaginarla allo stesso tempo.
Questa è la scommessa del nostro teatro, riuscire a rubare a un grande romanzo russo tutto il suo potere espressivo ed evocativo e a riproporlo, puro e fuori dal tempo, allo spettatore.
Non ci saranno quindi ventagli di piume e colbacchi e pellicce della Russia della fine del ‘800. Non ci sarà la Russia geografica ma solo quella etnologica: la Russia delle canzoni, delle poesie, delle regole della vita e delle stagioni. Il secolo 1800 si troverà, mascherato, rifugiato, nelle ore dei personaggi.
Karenina prende in esame quattro personaggi del romanzo: Anna Arkadev’na Karenina, Ekaterina Aleksandrovna, Dmitrievic Levin, Aleksej Aleksandrovic.
Sono queste quattro personalità il centro dello spettacolo, quattro personalità che hanno in comune la stessa rovina: un soldato. Bellissimo, giovane, coraggioso, famoso, stupido, arrogante, cattivo, virtuoso, sensuale, odiato, amato. Il soldato Vronski.
Ma Vronski sulla scena non si vedrà mai. Si parlerà di lui, si piangerà per lui, ma non ci sarà nessuno ad interpretarlo, perché Vronski è un feticcio, un totem, un’idea diversa per ognuno dei quattro personaggi; il riflesso della propria espressione nella lama di un coltello, nel finestrino del treno, nell’acqua di un fiume di campagna, nel legno lucido della scrivania.
Vronski è una malattia.
Il primo atto si articola in quattro scene corali: “Il treno”, “Il ballo”, “La proposta”, “La confessione”.
Queste macro sequenze rappresentano l’inizio del problema, l’incubazione della malattia e la causa del conflitto.
Il secondo atto: “La vergogna”, “L’amore”, “La vita”, “La morte”, si articola invece in quattro scene individuali.
Queste sono le scene conclusive, in cui la malattia uccide o fortifica, spurga o avvelena.
I personaggi vivono nello stesso spazio e degli stessi oggetti che ognuno però userà secondo una drammaturgia fisica differente.
Il velo che per Kitty è il vestito del ballo più importante della sua vita sarà per Anna un sudario di morte, il libro in cui Aleksiei legge i conti del ministero sarà per Levin una falce con cui estirpare le erbacce.
In questo modo gli oggetti e lo spazio si plasmeranno a seconda del punto di vista del personaggio che li vive e li osserva.
Lo stesso spettatore sarà costretto a scegliere e inventare nuovi significati e nuove strade dentro sé stesso per capire o se non altro pensare a quello spazio personale e immenso che è l’amore.
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