oppure

Registrati con il tuo indirizzo email

Oppure, solo se sei una persona fisica (NO azienda/associazione), puoi scegliere anche di registrarti con i social:

Inserisci il tuo indirizzo email: ti invieremo una nuova password, che potrai cambiare dopo il primo accesso.

Ricordi la tua password?

Controlla la tua casella email: ti abbiamo inviato un messaggio con la tua nuova password.
Potrai modificarla una volta effettuato il login.

Maccheroni Connection The Web Serie - Pilota

Una campagna di
Roberto Mingoia

Contatti

Una campagna di
Roberto Mingoia

Maccheroni Connection  The Web Serie - Pilota

Maccheroni Connection The Web Serie - Pilota

Campagna terminata
  • Raccolti € 0,00
  • Sostenitori 0
  • Scadenza Terminato
  • Modalità Raccogli tutto  
  • Categoria Film & corti

Una campagna di 
Roberto Mingoia

Contatti

Il Progetto

Cari sostenitori potenziali,

mi chiamo Roberto Mingoia e sono l'autore di "Maccheroni Connection" Imprimatur Editore.

Per chi volesse sapere di più su di me e sul romanzo gangster da cui vorrei trarre l'episodio pilota della web serie potete visitare il mio sito www.robertomingoia.com e il sito della Casa Editrice http://www.imprimatureditore.it/index.php/2017/01/13/maccheroni-connection

Ma veniamo al sodo. Come mai questo ambizioso progetto? 

Sono sempre più numerosi i lettori che mi contattano e mi dicono che vorrebbero vedere sul piccolo schermo questa storia ricca di suspence e colpi di scena. Ho pensato perchè non provare ad accontentarli?

Qua potete trovare delle recensioni positive lasciate su Amazon per farvi un'idea https://www.amazon.it/Maccheroni-connection-Roberto-Mingoia/dp/8868305186/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1496678870&sr=8-1&keywords=maccheroni+connection Se volete farvi un'idea ancora più approfondita leggete il libro e ditemi cosa ne pensate. Vorreste vedere anche voi la web serie?

Guardate il trailer che ho preparato, è ricco di suggestioni e condensa tutte le emozioni che si vivono leggendo il libro.

Di cosa parla il libro?

Ecco la Sinossi:

Ogghiularu, un paese immaginario della Sicilia, è il luogo idilliaco per eccellenza, ma è anche il posto dove la criminalità e il male sembrano aver preso il sopravvento su ogni forma di bene. Camorra, mafia russa e l'immancabile Cosa nostra, rappresentata dalla potente famiglia dei Cammareri, si dividono il potere turbandone l'ancestrale tranquillità. Un delinquentello qualunque da poco uscito di prigione, Francesco Spina, nel tentativo di scampare all'inseguimento di alcuni spietati gangster a cui ha pestato i piedi, prenderà il posto del maresciallo Luca Pappalardo, appena arrivato in paese per fare regnare la disciplina ma morto fortuitamente in una rissa da bar. Sarà lui a dover fare rispettare l'ordine, in un susseguirsi di colpi di scena degni dei migliori film di genere gangster.

E' una storia originale ambientata in una Sicilia moderna che deve lottare non solo con la mafia ma anche con la camorra e la criminalità russa. Il protagonista è il classico bello e dannato, tutto d'un pezzo, ma che ha anche dei valori. Siete anche voi curiosi di vedere realizzato il pilota?

Sono già in contatto con alcuni filmaker di successo che mi hanno spiegato come lavorare alla sceneggiatura e quale deve essere il budget per fare un buon pilota.

Ora manca solo il vostro contributo! Se non potete donare vi chiedo di condividere questo progetto sui social!!!

Grazie per la cortese attenzione, date uno sguardo alle ricompense che abbiamo studiato per voi! Spero vi piacciano,

non esitate a contattarmi per qualsiasi info.

Estratto:

Prologo
«Brucia, carta brucia, brucia all’inferno!» Lello aveva il fuoco che gli si specchiava negli occhi: il rogo del giovedì lo rilassava e lo divertiva, si sentiva come un bambino che guarda il suo cartone preferito. Anche se la sua specialità era tutt’altro, amava infatti gambizzare chi non pagava il pizzo e chi diventava troppo scomodo per il clan dei Cammareri. Questa famiglia siciliana aveva costruito il suo impero sull’ambizione e sull’affidabilità dei suoi sicari senza scrupoli, veri serial killer sul libro paga, senza alcuna empatia verso chi si trovava dall’altra parte. Il sistema di potere, feroce e assetato di sangue, aveva il suo fulcro nel tranquillo paesino di Ogghiularu, novecentotré anime, abbarbicato su una collina a strapiombo sul mare tra Catania e Taormina. Al di là della remunerativa attività del pastificio La Spiga d’oro, i Cammareri si erano espansi in tutta una serie di commerci illegali che li avevano resi ricchi e potenti ben oltre il territorio siculo. Complicate attività criminali necessitano anche di astuzia e ingegno per essere celate a occhi indiscreti, come quelli della legge e dei concorrenti. Per questo l’ultimo giovedì del mese tutta la contabilità, insieme a ogni traccia della pratica 
illecita portata avanti dalla famiglia, doveva diventare cenere, sparire come se non fosse mai stata. Il clan dei Cammareri era guidato da don Riccardo, che tutti chiamavano Elvis, per via di quel ciuffo imbrillantato che portava sempre con fierezza. Si faceva vedere poco in giro, perché gli piaceva la discrezione e vantava “mani pulite”, immacolate come un giglio. Ma di sicuro non poteva abbassare la guardia, quando andava in giro col suo gessatino scuro sulla Rolls Royce nera a siglare qualche grosso patto o ad assistere a qualche esecuzione. Una personcina poco raccomandabile che anche la mafia russa e la camorra guardavano con rispetto. Anche queste due poco opportune realtà avevano da non molto preso piede nel ridente e isolato paesino dallo strano nome che tradotto significa “venditore d’aglio”. A Ogghiularu diversi membri del clan Riccio, cosca di spicco del napoletano, erano stati incarcerati nella sua prigione di massima sicurezza. Per questo la famiglia aveva esteso in quella zona la sua influenza, certamente poco gradita alla famiglia Cammareri. Anche i russi si erano trovati per caso in quel paesino della Sicilia, perché al capostipite della famiglia Petrov, che soffriva di vari problemi di salute, i medici avevano consigliato un clima più mite, e loro, appassionati di mafia italiana, a cui si ispiravano per la gestione degli affari, avevano scelto proprio l’isola di Trinacria. Il fato aveva voluto poi che Oleg, rampollo di quella spietata famiglia, si innamorasse di Giuseppina, la figlia di Elvis, giovane studentessa all’università. 

1.
«Ignazio, passami quel sacco nero, bisogna fare pulizia anche delle pulizie. Lavoro coi fiocchi, così il capo è felice e lo siamo tutti» disse Lello all’altro scagnozzo, un tipo butterato, con gli occhi fuori dalle orbite e un po’ di barbetta. Era un po’ tardo ma sapeva eseguire gli ordini senza fare storie. «La cenere la usiamo per ripulire qualche scena di sangue; per mantenere il dominio bisogna apparire angelici e senza macchia» continuò con fare pratico, stringendo la sigaretta tra i denti. Collo taurino, perennemente abbronzato, jeans e canottiera scura, procedeva baldanzoso, portandosi dietro la grande busta nera che caricò sulla scintillante Q7 Audi, dello stesso colore. E via a tutta velocità in direzione del bar Tom, un’istituzione in paese. La serata era fresca, una lucente luna nuova brillava sopra il mare, ogni cosa predisponeva all’intimità. In quella situazione rarefatta, Ignazio trovò l’ispirazione per un pensiero estemporaneo: «Lello, dimmi, ma tu non hai mai paura di morire?» «Miii, ma che minchia dici? Sei impazzito? Se dico al capo che sei diventato frocio quello una brutta fine ti fa fare. Piantala di usare quella brutta testaccia. Devi limitarti a muoverti come ti dico, okay?» 
Il poveretto fece un cenno col capo e abbassò lo sguardo, con l’umore di chi ha la coda tra le gambe. Lello cercò di non pensare a quella stupida domanda. Ma poi a una curva a gomito incrociò la Bmw dell’affiliato di un clan rivale e pensò: “Basterebbe un attimo… che quelli mi beccassero da solo per piazzarmi una pallottola sulla tempia. Ma tanto cosa sto vivendo a fare? Se mi uccidono mi fanno un favore”. E con questa sprezzante massima parcheggiò con una manovra azzardata sul retro del bar, sollevando un gran polverone. Quando entrarono, dalla radio si propagavano le note di Guai di Vasco Rossi. Concetta li salutò con un gesto della testa, senza nemmeno dar loro troppa importanza: non le piaceva servire da bere agli scagnozzi di suo zio. Lello continuava a fissarla e ogni tanto, da gran signore che era, si sistemava il coso nei pantaloni. Era bellissima nel suo abito nero attillato, un pizzo elegante lambiva il seno generoso. «Cosa bevete?» «Due Jack, grazie». Accennò un mezzo sorriso col suo rossetto rosso fuoco, Lello e Ignazio le sbavavano dietro, ma lo zio, il super boss e loro capo, era stato chiaro: «Nessuno osi infastidirla né sfiorarla», pena venire buttati in un pilone autostradale insieme a una colata di cemento. Arrivò anche Gustavo, altro affiliato al clan, tarchiato, orecchie a sventola, maglia in poliestere blu dell’Italia: «Se soffri di solitudine, non andare a comprare scarpe con la tua ragazza!» affermò con sguardo ancora stralunato. «Io ci ho impiegato due minuti per un paio di mocassini, lei mi ha lasciato seduto sulla 
poltroncina per oltre un’ora… me ne sono andato, che lei era ancora lì…» Anche Concetta sorrise a quella battuta e versò un altro Jack per il nuovo arrivato. «Concetta, non fidanzarti mai. Per carità non fare questo errore. Non sembri una che ama stare a casa a fare i piatti e badare ai bambini». Gustavo ci aveva visto giusto. La ragazza non rispose nemmeno. Non ci pensava ancora a trovare l’uomo della sua vita. Ogni tanto, quando lo zio allentava le redini del suo controllo, si concedeva qualche sveltina con le serrande abbassate. Ma solo con gente di fuori, sarebbe stata una vergogna dare confidenza a qualche affiliato o qualche concittadino. Nel mentre presso la stazione dei carabinieri del paese… «A momenti arriverà il prossimo maresciallo!» disse Vito, appuntato scelto, con il tono fiducioso di chi crede nella lotta al crimine. «Mah… gli altri hanno lasciato che i Cammareri facessero il bello e il cattivo tempo. Non so cosa possa fare di più questo nuovo…» abbozzò Tore, appuntato in servizio da pochi mesi, ma che già aveva capito l’andazzo. In caserma non c’era tanto da fare quel giorno. Chi giocava al cruciverba, chi a Candy Crush, chi si faceva una bella rassegna stampa dei fatti avvenuti nel mondo. «Evade nudo dalla feritoia del cibo», una notizia che il carabiniere Cuccureddu lesse col sorriso sulle labbra. Era successo in Russia, di certo se le inventavano tutte pur di non marcire in gattabuia. Nel carcere di massima sicurezza di Ogghiularu ancora nessuna evasione era stata messa in atto, nonostante diversi fossero stati i tentativi. La prigione si trovava a picco sul mare: nessuno sarebbe sopravvissuto a un tuffo di trenta metri atterrando sulle rocce di origine vulcanica appuntite dal vento e dal mare. Scappare dall’altra parte era pressoché impossibile, a meno che non si fosse degli esperti scalatori: infatti, il promontorio a sud era cinto da una montagna alta oltre mille metri. Le altre due stradine da cui si poteva passare erano sorvegliate giorno e notte da guardie armate, come se si trattasse di un prolungamento del carcere. In quella Alcatraz in terra siciliana ci si doveva mettere l’anima in pace: non c’era via di fuga. Tuttavia, alcuni detenuti riuscivano grazie alla corruzione delle guardie a fare la bella vita, avere vestaglie di seta, sigari, bottiglie di Zacapa e a volte anche una compagnia di mezz’ora. Mimmo Riccio quella sera si stava guardando per l’ennesima volta il film Il padrino. Lo conosceva a memoria e amava ripetere la sua scena preferita: «Un’offerta che non potrai rifiutare…» Si atteggiava come Marlon Brando, allungava il mento e gonfiava le mandibole per avere la stessa espressione e si impegnava a fare la stessa voce. Quando vide la scena della testa del cavallo nel letto non poté non ridere di gusto. Ripensava a tutte le volte che nella vita reale aveva usato questo vecchio trucco per impaurire qualcuno difficile da piegare. E funzionava ogni volta. Forse perché il cavallo è così bello, alcuni dicono di non mangiarlo. A vederlo nel letto, pensi: “Se hanno avuto la crudeltà di torturare questo povero animale, a me cosa possono fare?” Un sorso di buon rum e un pezzo di cioccolato prima di cercare di dormire. In carcere tutti i fantasmi 
vengono a cercarti la notte. Fanno grandi ammucchiate. La sera fai fatica a farti accogliere tra le braccia di Morfeo e la mattina preferisci alzarti presto così almeno puoi scacciare il diavolo nella sua tana. Era strano e singolare come una persona così malvagia come il buon Riccio, boss di lungo corso, fosse tanto devoto. Due tipi di persone abbracciano la religione: quelli che invecchiano e quelli che fanno tanto male agli altri. Di sicuro hanno molte cose da raccontare al Signore e farsi perdonare. Era anche un modo per mantenere salda la sua popolarità tra la gente e conservare una parvenza di umanità agli occhi degli inquirenti. Ogni domenica, nel suo completo scuro preferito, si faceva accompagnare dall’autista in chiesa. E ora che era in carcere, il cappellano lo visitava regolarmente. Il prete  rispettava e temeva a tal punto il boss Riccio che quasi sembrava fosse lui a pregare di fronte a questo diavolo e non viceversa. 

2.
Ore 12, con il vento nei capelli correva in sella a una scoppiettante Harley Davidson Roadster, rubata la sera prima. Francesco era finalmente libero, leggero. Dopo dieci anni di galera, ora si sentiva con la mente completamente sgombra, ma all’improvvisò notò nello specchietto retrovisore un suv bianco che lo tallonava, due brutti ceffi a bordo. Una rapina andata male lo aveva privato della libertà per tanto tempo e adesso era determinato a difendersi con tutte le sue forze. Con i denti e con le unghie, fino all’ultimo respiro. Quelli alle calcagna dovevano essere due sicari del Ratto, un ex socio a cui aveva portato via una barca di soldi nella speranza di cambiare vita. Con un fucile a pompa i due killer provarono a sparare alle gomme del fuggiasco, ma questi fu abile a scansarli. Come in un videogame iniziò una lotta senza esclusione di colpi. Ora lo inseguivano: in certi ambienti, quando sgarri, paghi con l’eliminazione fisica. Cominciarono anche a mirare al corpo ma Francesco era scaltro, era sempre un passo avanti: avrebbe di sicuro venduto cara la pelle. Superò a tutta velocità un posto di blocco sulla A18, ma ora oltre ai due gangster era inseguito anche dalla polizia. – “Sono nei guai” pensò Francesco, “se mi acciuffano ora mi rimettono in gattabuia e buttano la chiave”. Accelerò, galoppò come un gaucho sul caldo asfalto siciliano, superò il paese di Fiumefreddo e continuò a correre cercando un modo per seminarli. “Questi hanno nove vite come i gatti, non vogliono proprio mollare… mi sento come Schwarzenegger in Terminator… ma stavolta il T1000 devo essere io!” Liquido, sfuggente, sguizzava via veloce come il vento. Il guerriero fuggiasco non sbagliava una curva, il suo corpo diventava aerodinamico per assecondare i movimenti della moto, non osava nemmeno più guardare lo specchietto retrovisore.  A un certo punto imboccò una strada di campagna, non asfaltata e non presente di sicuro sulle mappe. Correva tra gli alberi senza voltarsi, vide dei cerbiatti abbeverarsi a un torrente, fece una curva a gomito e salì per qualche centinaio di metri. Si fermò, si tolse il casco e si guardò attorno. Era stato colpito di striscio a una spalla, doveva cercare un ricovero al più presto. Scorse con la coda dell’occhio quel gigante dormiente dell’Etna, forse lo spirito del vulcano lo aveva aiutato in questa rocambolesca fuga. Doveva fermarsi nel primo luogo abitato raggiungibile, aprì il telefono e interrogò la app delle mappe: un pallino rosso si illuminò a fianco al paesino di Ogghiularu. Non l’aveva mai sentito nominare, ma avrebbe dovuto andarci per cercare di rifiatare da quell’inseguimento. Dal carcere di Bedda Madonnina, vicino a Enna, ne aveva fatta di strada. Ora doveva lasciarsi il passato alle spalle e andare avanti, e forse questa volta la sua stella lo avrebbe guidato. Era stato probabilmente tradito da un altro socio della banda, chissà se si sarebbe potuto vendicare, ma certamente adesso aveva una chance per cambiare vita.
Francesco entrò nel bar Tom. Era primo pomeriggio ed era completamente vuoto. Concetta, vestitino rosso attillato, gli chiese cosa volesse da bere. «Qualcosa di forte» rispose lui. «Arrivi o te ne vai?» domandò la ragazza. «Ancora non lo so». E davvero non lo sapeva. A quel punto poteva ancora scegliere. Concetta notò la spalla, gli abiti lacerati e macchiati di sangue. «Oggi è la tua giornata fortunata, prima di lavorare al bar ho studiato da infermiera» proseguì. La sua voce non tradiva alcuna emozione, ma Francesco colse una vena di interesse in quelle parole, e si lasciò docilmente guidare dalla mano della ragazza. Lei lo portò su in soffitta e gli curò le ferite. Con lentezza, con gesti sicuri e allusivi. «Questo corpo ne ha fatte di battaglie…» fece un sorriso ammiccante, mentre accarezzava le spalle possenti di Francesco. «Sono le cicatrici di un guerriero…» I loro occhi si incrociarono, le mani di lei sfiorarono la sua schiena, forte e scultorea. Lui la baciò con trasporto, la spinse contro il muro e le tolse i vestiti. Fecero l’amore con una passione travolgente, quella che solo tra esseri affini può originarsi. In quella soffitta non c’erano più pareti, non c’era nulla, solo i loro due corpi che si davano reciprocamente, intensamente, con una violenza che ne esaltava l’estremo desiderio. Fecero l’amore, fino a che, stremati, si appisolarono l’uno accanto all’altra. «Se ti va puoi fermarti nella soffitta finché non trovi un altro posto». Più tardi scesero giù al bar a prendere un caffè. E Concetta rialzò la serranda, anzitempo abbassata. Non ebbe il tempo di ritornare al suo posto, che entrò un tipo tarchiato, dallo sguardo sveglio. Si mise di lato al bancone e ordinò un piatto di pasta alla norma. Qualche minuto dopo fecero il loro ingresso due ragazzini col volto travisato da un fazzoletto nero. Avevano modi spicci e impacciati, e minacciarono Concetta di dar loro i soldi della cassa. Sicuramente non avevano idea di dove fossero andati a fare il loro primo colpo. La giovane rimase imperturbabile, non si mosse dalla spillatrice di birra: aveva visto scene ben più forti. L’uomo che mangiava la pasta si fermò di colpo. «Volete rubare in un bar vuoto di martedì pomeriggio? Quanto ci sarà in cassa, 200 euro?» intimò loro. «Taci nonnetto!» fu la risposta dei due teppistelli. Francesco se ne stava bello tranquillo nel suo angolo ad aspettare: sembrava non avere fretta di intervenire o forse attendeva solo il momento giusto. Non avendo ottenuto risposta, il tipo tarchiato si alzò: «Prima che il mio piatto di pasta si sia freddato, vi avrò già rotto il culo!» Fece uno scatto di reni da centometrista e neutralizzò il più alto con un calcio nelle palle. L’altro ragazzetto impugnò una 44 Magnum automatica e sparò a raffica. Uno dei proiettili colpì l’uomo alla testa, che esplose come una zucca colpita con una mazza da golf. Dopo questo gran casino, evidentemente non calcolato, i due delinquenti se la diedero a gambe, più morti che vivi. Francesco si avvicinò al corpo del malcapitato, lo girò con cautela ed estrasse il portafogli dal taschino posteriore destro. Vide che si trattava di Luca Pappalardo, maresciallo dei carabinieri. Il sangue gli si gelò nelle vene, oltre ad esaminare il distintivo, assolutamente autentico, trovò una lettera che diceva che dal giorno dopo sarebbe diventato il nuovo maresciallo di Ogghiularu. 
Francesco rifletté per qualche istante, un’allettante opportunità gli veniva offerta su un piatto d’argento, come poteva tirarsi indietro? Avrebbe preso l’identità di quell’uomo. Nessuno lo aveva ancora visto, avrebbe chiesto a un amico hacker di confezionargli una falsa identità. Sarebbe diventato il maresciallo Luca Pappalardo, il nuovo tutore dell’ordine e della legge in quel piccolo paese siciliano.

Commenti (0)

Per commentare devi fare

    Gallery

    L’accesso alla gallery è riservato ai sostenitori del progetto.

    Community