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- La Comune di Parigi, proclamata nel marzo del 1871, fu una forma di coraggioso autogoverno, un esperimento politico, un’irripetibile stagione di fermento intellettuale ed artistico. Il popolo insorto contro l’esercito prussiano invasore e quello francese traditore della patria si difese eroicamente dall’assedio, ma alla fine dovette cedere quando le forze nemiche riuscirono a penetrare in città. La Comune durò tre mesi e si concluse con un massacro. -
Lo trovò riverso sulla seggiola, il gomito ancora appoggiato alla scrivania e i capelli nerissimi che gli coprivano il volto. Edith spalancò gli occhi e si mise a urlare. E urlava chiedendo aiuto mentre scendeva le scale. Sotto, alla porta della locanda, cominciò a raccogliersi gente. Un paio di uomini salirono nella mansarda e poi scesero: “Gli hanno sparato. Due fori nella schiena”.
Il morto si chiamava Eugéne ed aveva venticinque anni. Da quasi due mesi si era stabilito nella Locanda del Vento, che Edith mandava avanti con piglio ed energia, ma durante la giornata lo si vedeva raramente. La sera invece spesso arrivavano amici per cene sempre più scarse e discussioni sempre più accese. Erano i giorni febbrili della Comune e loro appartenevano ad una di quelle generazioni entusiaste, piene di ideali e di coraggio che ogni tanto, in tempi e luoghi diversi, compaiono sulla faccia della terra.
Nel frattempo erano arrivati i gendarmi, sospettosi quanto inesperti perché nella vita facevano tutt’altro. Ma nella Parigi del 1871 ad un operaio poteva capitare di ritrovarsi fra le forze dell’ordine. Edith cercava di rispondere, anche se la testa era da un’altra parte. “Eugéne Leclerc. Sì, ha cenato qui ieri sera. No, non era solo, c’erano parecchi altri compagni, che però dopo mezzanotte se ne sono andati”. “Mah, non mi sono accorta che qualcuno sia rimasto”. “Non so di preciso da dove venga, ma sicuramente dal Midi”. E intanto pensava ad Arlette, la giovane servetta, che sarebbe arrivata di lì a poco. Come dirglielo? Fra loro era sbocciata, da subito, una grande passione.
Per Edith, Arlette era quasi una figlia o una sorella minore. L’aveva presa con sé quando era bambina, figlia di una vecchia amica debole di mente che dopo aver messo al mondo una quantità di infelici senza riuscire a sfamarli aveva finito i suoi giorni alla Salpȇtrière. Questo, dieci anni prima ed ora Arlette ne aveva venti. Un fiore di ragazza, forse un po’ magra, con i capelli scuri e corti e la carnagione trasparente, su cui parecchi ospiti della locanda mettevano gli occhi. Ma lei era seria, laboriosa, timorata di Dio. Però anche vivace, esuberante, curiosa, pronta ad innamorarsi di chi le fosse davvero piaciuto. Eugéne, appunto. E ora?
Eccola apparire all’angolo della piazzetta, aggrottare la fronte e farsi largo tra la folla. “Arlette, è successa una disgrazia”. Gli occhi verdi guardano spaventati e diventano grigi. “Arlette no, non puoi salire”. E infatti le guardie sbarrano la strada. “Arlette, Eugéne è morto, gli hanno sparato alla schiena”. Arlette non capisce ma cade su di sé e se fosse un uccello le piume si spargerebbero intorno.
Edith tenta di occuparsi di lei, ma i gendarmi non hanno finito con le domande. Allora alcune donne sollevano Arlette e la portano in una casa vicina, la bella, grande e un po’ buia casa di Marthe. La stendono su un divano e cercano i sali per farla riprendere. Ora, nel grande incendio della Comune, un piccolo focolaio di dolore particolare si è acceso nella piazzetta di rue des Carmes.
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Perché Eugéne è stato ucciso? Quale sarà la sorte di Arlette? La nobildonna Marthe riuscirà a salvare il valoroso Jean? Edith e il suo compagno Gilbert si ritroveranno? Ma soprattutto, chi ha tradito il popolo di Parigi e aperto il varco ai nemici?
Questi e altri personaggi si incontrano, si perdono, si amano e si odiano negli ultimi, spasmodici giorni della Comune.
Grazie mille!
Il team di Fahrenheit 451
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