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Viaggio in bici in solitaria, ai tempi del COVID
tra pensieri, immagini, riflessioni… e garden surfing
Durante la quarantena, l’idea. I “Pinelli”, un gruppo di amici, la sera si ritrova su Skype, come tanti in questo periodo. Organizzare e progettare il futuro, quello prossimo, li tiene in vita. Da poco tempo è entrata nella combriccola una tarantina, e una sera lancia la proposta di fare le vacanze in Puglia, nella sua città: Taranto. “Perché Taranto, non è soltanto Ilva. Avete presente il mare? Quello bello. Le cozze. I delfini. Gli ulivi. La terra. La città vecchia. Le sue storie, la sua gente, la loro vita. Le masserie. La musica. La pizzica. La vita”.
I Pinelli sono i miei amici e io sono Domenico Grossi. Fotografo per lavoro e per passione. Erano anni che aspettavo un’occasione come questa. Quindi decido di fare questo viaggio. Da solo. E in bicicletta. Con un progetto di fondo: fare di questo viaggio una ricerca. Una ricerca dell’altro. Al tempo del Covid.
Torino – Taranto: 30 giorni in 15 tappe.
Viaggio con la mia bicicletta, una Poderosa mountain bike della GIANT.
La pandemia divide quanto unisce: se da un lato ci siamo trincerati dentro forme di chiusura e di distanziamento dagli altri, dall’altro gli individui sentono di aver bisogno di nuovi e ritrovati spazi di socializzazione.
Il viaggio in bici come esperienza svolgerà un ruolo fondamentale in questa individuazione di valori.
Si cerca un rapporto di fiducia con gli altri.
NOTA - Perché Taranto? Durante il lockdown la mia amica tarantina invita me ed altri amici a guardare il documentario sul concerto del PRIMO MAGGIO a Taranto, trasmesso in coda a Propaganda Live. Resto colpito dall’intervento di un operaio dell’Ilva che racconta che nella sua città il lock-down si vive da sessant’anni perché nei giorni di wind day le scuole chiudono e ci si barrica in casa per non entrare in contatto con le polveri sottili, polveri che uccidono.
Partenza dal mio studio lunedì 17 agosto.
Arrivo lunedì 14 settembre davanti ai cancelli di Arcelor Mittal.
1071 km in 15 tappe.
Ogni tappa (un giorno di viaggio da circa 70 km), terminerà davanti ad un agglomerato di case e presso una di queste chiederò ospitalità.
Viaggerò portando con me un termometro digitale e mascherine, nel rispetto di ogni sensibilità.
Cosa chiedo - Pochi metri quadri di giardino dove montare una tenda e condividere un pasto: ospitalità semplice, a basso costo ed empatica.
Cosa offro - Un’opera d’arte.
Viaggerò con la mia dotazione fotografica professionale. Nel giorno di riposo, oltre ai momenti di conoscenza reciproca, mi cimenterò nel ritratto di famiglia.
Il ritratto fotografico, per dirla alla Oliver Wendell Holmes è “uno specchio dotato di memoria”.
Dove finisce questo ritratto? Nelle mani di chi mi ha ospitato, sulla rete, nel mio blog, sui miei canali social, su tutti i canali di chi condividerà e in una mostra.
IN SINTESI: proporrò ai proprietari di un’abitazione provvista di giardino la possibilità di cenare, pernottare, fare colazione e passare una giornata per conoscersi in cambio di un ritratto fotografico consegnato in forma cartacea (formato polaroid) e inviato in formato tiff ad alta risoluzione, la sera prima di ripartire.
CONCETTO CHIAVE: la filosofia del baratto come scambio materiale e simbolico, come possibilità di esperienza e produzioni di significato.
Viaggiare LOW-COST, non solo per necessità ma soprattutto per FILOSOFIA.
Praticare l’ospitalità è un’antica consuetudine, presente in tutte le culture come dovere sacro. Il declino della prassi dell’ospitalità è provocato dal carattere consumistico della nostra società. IL MERCATO OGGI SI È IMPADRONITO ANCHE DEL CLASSICO MODELLO DI OSPITALITÀ STRAPPANDOLO ALLA GRATUITÀ E FACENDONE UN AFFARE COMMERCIALE.
L’idea di questo viaggio nasce da una convinzione profonda e viscerale del valore culturale e umano rappresentato dal viaggio e dall’esperienza. Dallo scambio con altre persone in un momento storico come quello attuale, segnato dalla pandemia. Con questo viaggio cercherò di superare, sul piano del reale, quell’atteggiamento di diffidenza e di difesa che si è venuto a creare, oggi più di ieri, verso ciò che appare come altro e/o come potenzialmente rischioso.
“Io viaggio armato. Ma di una fotocamera. E il mio destriero è la Poderosa”.
ToTa è un viaggio sostenibile attraverso la cooperazione tra uomini e donne che si fa virtù in un periodo storico, socialmente ed economicamente difficile come quello di oggi.
Animato da una filosofia inequivocabilmente ottimista, attiva e progettuale che presuppone libertà e crede nelle responsabilità diffuse, cosa farò nel caso in cui non si verifichi l’accordo basato su ospitalità e baratto? O peggio ancora: se dovesse verificarsi la drammatica combinazione “nel mio giardino non si entra” e intanto sta diluviando”?
Esercizio Zen: farò pace con il destino e non ripeterò all’infinito “che mondo di…”.
Troverò un riparo: la pensilina di un distributore, una fabbrica abbandonata. Bussare alla porta di una canonica.
Oltre alla fotocamera dotata di una focale 35mm e una Action Cam, porterò con me cavalletto, pc, smartphone, stampante, alimentatori, battery pack, caricabatterie, Moleskine, penna Parker e occhiali da lettura.
Racconterò il viaggio e le persone che incontrerò sulla strada in tempo reale sul mio blog e sui due canali social (Instagram e Facebook).
Un viaggio inteso non come performance sportiva, ma fatto di tempi dilatati. Avere tempo per incontrare, fermarsi, contemplare, curiosare, fotografare, scrivere, pubblicare, piangere, ridere, salutare. Ripartire.
Mi accompagnerà da casa mia figlia Chiara, autrice del logo ToTa, con un racconto parallelo attraverso un lettering basato sui miei post.
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