Una campagna di
Stefano FilippiniContattiInserisci il tuo indirizzo email: ti invieremo una nuova password, che potrai cambiare dopo il primo accesso.
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Ho cominciato questo progetto nell'Agosto del 2020. Le prime fotografie, la definizione del progetto e la ricerca di soggetti mi hanno accompagnato per i successivi 2 anni, quasi. Un lasso di tempo molto lungo, che ha compreso un infarto, un lockdown e tanti cambiamenti: nella mia vita, in quella dei soggetti, nel mondo intero.
Ho chiuso gli shooting al raggiungimento dei 100 soggetti, a Luglio del 2022.
Non contento, ho voluto reincontrare tutti i soggetti che si prestavano per un'intervista in cui mi raccontano il loro punto di vista sulla loro esperienza con le imPerfezioni, il mio progetto fotografico ma soprattutto sulle loro: quelle con cui si confrontano ogni giorno.
Mi è sempre piaciuto fare fotografie, anche se non ho mai studiato per farlo. Paesaggi, dettagli, ritratti di persone durante le manifestazioni a cui ho partecipato.
Tra queste manifestazioni ce ne sono anche molte femministe. Perché sono un uomo nato con il privilegio, ma mi sono sempre ritenuto femminista. Ho letto molto per cercare di capire l’oppressione del sistema patriarcale sulle donne, ma ci sono molte cose che posso capire solo razionalmente perché non le ho mai provate e mai le proverò, come ad esempio il senso di inadeguatezza e un pessimo rapporto col proprio corpo dovuti ai canoni di bellezza imposti dal patriarcato.
Mi è sempre piaciuto fotografare corpi femminili, e allo stesso tempo ho sempre trovato brutti e sterili questi canoni che vedono nel corpo della donna un oggetto: stereotipato, con forme e misure ben definite, con interventi anche pesanti di fotoritocco per creare modelli irraggiungibili per ogni donna, comprese quelle ritratte in quegli scatti.
Ho cominciato quasi per scherzo a fotografare donne che non avevano mai posato per delle foto. Foto boudoir, foto di nudo o semplici ritratti in cui le donne affrontano il rapporto che hanno con il proprio corpo.
Ho modificato pian piano il tiro, sommessamente, perché sono un uomo e posso solo cercare di comprendere cosa vuol dire per una donna affrontare decenni di canoni di bellezza imposti in modo più o meno inconscio. Posso cercare di comprenderlo, ma non sempre ci riesco, proprio perché ho un problema di fondo da superare: il privilegio di essere nato maschio.
Ho cominciato dal linguaggio, perché è sempre con il linguaggio che si comincia un processo di cambiamento o di rivoluzione. Le donne che posano per imPerfezioni non sono “modelle”. Sono “soggetti”. Che è sì un termine fotografico, ma è anche apertamente in contrasto con il sistema patriarcale di oggi: quello di essere “oggetto”. Se il corpo diventa il soggetto del processo si ribalta la prospettiva, e potrebbe aiutare le donne che scelgono di posare ad esprimere sé stesse.
Quando contattavo una donna da fotografare mi veniva spesso chiesto: “Come mi devo vestire?”. La mia risposta fin dall’inizio è stata: “Vestiti con qualcosa che ti faccia sentire a tuo agio, che ti permetta di diminuire l’imbarazzo che sempre c’è nel mettersi davanti ad un obiettivo”. Questo è il primo passo. Il secondo è creare una scenografia che permetta di concentrare lo scatto soltanto sul soggetto. Ecco allora la scelta di un fondale nero, in cui la persona possa muoversi come vuole, libera di esprimersi.
La seconda domanda è sempre: “Come mi devo mettere?”. Qui la risposta è sempre la stessa: “Come vuoi”. E cominciamo a scattare. Le prime foto sono di imbarazzo, statiche, tese. Poi si rompe il ghiaccio. I soggetti prendono oggetti che trovano in casa: una sedia, un tavolo, un libro. Giocano con un accessorio che si sono portate: una sciarpa, degli orecchini. E riescono ad esprimersi appieno.
Anche le pose in cui si mettono cambiano. Molto spesso riproducono ciò che hanno visto sulle riviste o su internet, canoni assimilati a livello inconscio. Ma molte altre volte nascono scatti spontanei e bellissimi.
Tra tutti gli scatti che faccio ne seleziono tra i 60 e i 100 e li invio. Queste foto sono di libero utilizzo per la persona rappresentata, può farne quello che vuole. Poi sarà lei a scegliere le foto che verranno pubblicate da me per il progetto, solitamente 6 o 9. Tutte le altre non verranno mai pubblicate, almeno da me. Perché anche in fotografia il consenso è fondamentale e solo il soggetto può decidere come disporre del proprio corpo.
Mi sono reso conto che anche il mio ruolo è importante. Sono un uomo, e in quel momento rappresento il patriarcato, e l’obiettivo è l’occhio che psicologicamente dovrebbe osservare e giudicare.
Ma se sono bravo e riesco a creare un ambiente sicuro, un ambiente non giudicante, libero e tranquillizzante e se riesco a costruire fiducia, allora il mio ruolo può essere terapeutico e pacificatore: posso essere l’alternativa al sistema, posso essere un occhio che riflette la dignità e l’unicità di ogni corpo, senza canoni, senza pressioni e senza giudizi.
Mi chiamo Stefano Zorba, pseudonimo di Stefano Filippini. Mi sono avvicinato alla fotografia da autodidatta intorno al 2000, e questo è il mio primo progetto fotografico e la mia prima mostra. Ho pubblicato numerosi album di musica rap, tra cui il vinile "Cara Rivolta", pubblicato nel 2021 grazie a un crowdfunding su Produzioni dal Basso. Nel 2006 ho anche pubblicato un romanzo con Edizioni AlterNative dal titolo "Mi innamoravo di tutto - Storia di un dissidente". Attivista da sempre, ho partecipato a lotte ambientali, contro il razzismo, il fascismo e il patriarcato. Che sono tutte facce della stessa medaglia. Sì, mi considero femminista.
Gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) costituiscono una serie di 17 obiettivi concordati dall'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Buona salute: garantire una vita sana e promuovere il benessere di tutti a tutte le età.
Parità di genere: raggiungere la parità di genere attraverso l'emancipazione delle donne e delle ragazze.
Ridurre le diseguaglianze: ridurre le disuguaglianze all'interno e tra i paesi;
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