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Il film China Playtime nasce dall'incontro tra Massimo Giovara, attore teatrale, e il gruppo H12, unità di produzione artistica cinematografica indipendente. La materia prima da cui muove il progetto è un archivio video di circa 25 ore di girato con telecamera semi professionale in standard definition 4:3, realizzato da Massimo Giovara nel periodo da luglio a settembre 2006 al Dalian Discovery Kingdom in Cina, come video-diario autobiografico. Le immagini a disposizione riescono a cogliere, in modo quasi impressionistico, un'epoca di rapidi cambiamenti in Cina, in cui le nuove generazioni benestanti iniziavano a consumare grande quantità di cultura occidentale replicandola in maniera artificiosa e puramente rituale, in un contesto di crescita esponenziale a livello economico, demografico, urbanistico.
A distanza di nove anni dal girato, dopo aver consultato il materiale video, H12 ha ritenuto che il potenziale insito nelle immagini fosse adeguato alla stesura di un testo capace di ribaltare una prospettiva classica di documentario.
L'idea del film nasce dalla necessità di trovare un fil rouge avvincente, che sintetizzi il materiale a disposizione (rielaborato e reinterpretato semanticamente con elementi di pura invenzione, in modo da agevolare la costruzione di un impianto di fiction), in un’espressione ibrida e composita, nella forma e nel contenuto. Le immagini sono state quindi private del loro contenuto narrativo di partenza e sono state utilizzate a supporto di una nuova narrazione, una trama inedita capace di proporre una stratificazione di significanti, aggiungendo e sottraendo fino alla fine differenti piani di lettura.
Il film tratta dei possibili nuovi orizzonti che si aprono per la spiritualità occidentale, attualmente in affanno nell'attrarre fedeli per l'agguerrita competizione di materialismo consumistico, di relativismi culturali e morali. Da qui, la necessità di ricercare nuovi mercati, proponendo inedite e ambiziose strategie. L'intreccio si dipana come un gioco di scatole cinesi, i cui progressivi svelamenti corrono sul labile confine di verità e finzione per poi riversarsi nell'ampia zona d'ombra, che si estende tra il verosimile testuale e l'improbabile visivo, quasi allegorica e non priva di sorprese.
A ben vedere non tutto sembra ciò che appare. A volte ci focalizziamo sul particolare e perdiamo di vista il quadro generale.
2006. Chi è l’uomo sul volo Ulan Bator-Dalian? Cosa ci fa in un piccolo paesino di pescatori tra le nebbie della Manciuria? Chi l'ha mandato in missione in Cina? Per quale motivo incontrerà l'arcivescovo Bergoglio, il futuro papa Francesco? Tutto sembra autentico e irreale allo stesso tempo, ma è normale quando ci si trova in quella terra di mezzo dove il vero e il falso camminano sotto braccio.
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